L'estinzione dell'arte come opera durevole a vantaggio dell'estetica come gesto e atto, è un processo che dura da tempo e che da tempo è in via di accelerazione. Ma non è detto che sia un processo unilineare, esclusivo e totalizzante. L'opera d'arte come oggetto che viene prodotto da individui particolarmente dotati, capaci, competenti e pazienti probabilmente continuerà a esistere, finché continuerà a esistere nel mondo un centinaio di individui con certe particolari caratteristiche di inventività e caparbietà artigianale. Tali individui forse saranno o non saranno famosi, non attireranno molta attenzione, o magari eviteranno perfino di volerla attirare per non essere disturbati dal riconoscimento pubblico, dall'ambizione sociale e dal rumore comunicativo, informativo che provoca. Dopotutto, uno dei più famosi e discussi profeti della modernità (profeti nel senso di anticipatori ma anche di critici), cioè Friedrich Nietzsche, fece proprie le parole di Ovidio scritte sulla tomba di Cartesio: «Bene vixit qui bene latuit», è vissuto bene chi è vissuto nascosto. Una frase che riprende il fondamentale invito o precetto di Epicuro: «Vivi nascosto». C'è qualcuno oggi che voglia vivere nascosto e ignorato? Sembra proprio di no, perché l'espansione totalitaria delle nuove tecnologie comunicative esalta l'esposizione, l'esibizione dell'io, anzi degli innumerevoli milioni di io che vogliono essere visti e riconosciuti da milioni di altri io. Francesco Bonami, autore di un libro appena uscito da Feltrinelli intitolato Post. L'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità sociale, conclude la sua premessa con queste parole: «Welcome nella nuova era della storia dell'arte. Non più la Civiltà del Rinascimento ma la Civiltà del Riconoscimento». Quale riconoscimento? Non quello morale e sociale, che ogni essere umano ha il dovere e il diritto di dare e ricevere. Sarebbe troppo, perché richiederebbe la realizzazione di una società moralmente giusta, a cui le più enormi potenze economiche e politiche si oppongono. Quel riconoscimento è invece puramente estetico-comunicativo. E a questo non provvedono le istituzioni sociali ma i social media, per ora Facebook e Instagram, che permettono e impongono di vivere per dare (di sé) spettacolo. Come dice Radio 1, mentendo, ogni mattina: «I protagonisti siete voi».
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