Forse è poco più che un tic linguistico, ma qualcosa significa: non c'è discorso sui problemi ambientali e climatici che non tenda a concludersi con la formula «puntiamo sulle tecnologie». Meno frequente è che ci si ricordi che il mondo è già strapieno delle tecnologie più varie, spesso superflue ma altamente inquinanti: sia perché la loro attivazione richiede un alto consumo di energie non rinnovabili, sia perché ogni tecnologia produce una gran massa di rifiuti. Il consumo di merci tecnologiche a cui miliardi di persone si sono abituate sta poi cambiando, anzi ha già cambiato, la stessa “natura umana”, sensibilità, esperienze, vita emotiva e mentale, forme di conoscenza. Se non si alzano mai gli occhi sugli ambienti naturali e sociali, alberi, nuvole in cielo, persone che ci passano accanto, non si vede da quale fonte possa essere alimentata la percezione e la consapevolezza di ciò che va protetto o cambiato. In che misura esiste realmente il mondo sociale e naturale intorno a noi per individui immersi ore e ore nella "contemplazione interattiva" di uno smartphone? Può avere voglia di piantare un nuovo albero chi non guarda mai l'albero che ha davanti agli occhi? Evocare di continuo la potenza risolutiva e salvifica di tecnologie nuove per risolvere i problemi dell'umanità e del pianeta distoglie dalla coscienza e valutazione del nostro modo di vivere in spazi e luoghi reali. Il messaggio è dunque questo: restate comodi nelle vostre abitudini, le tecnologie risolveranno tutto. Tranquilli: il problema non è morale, è solo tecnico! Un'osservazione marginale ma non tanto. Anche in letteratura la presenza di luoghi e ambienti da un secolo a oggi si è impoverita fino a sparire. C'erano la Trieste di Saba, la Liguria di Montale, il Veneto di Zanzotto, Meneghello e Rigoni Stern, la Maremma di Cassola e la Ferrara di Bassani, la Sardegna di Satta e Dessì... Oggi si vive in ambienti virtuali, evanescenti, che appaiono e scompaiono facendo scorrere un dito su uno schermo. Troppe cose a disposizione: realtà, poca.
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