Ci sarà mai modo di capire chi sono gli italiani? Qual è il loro felice e disperante carattere? Se siamo una nazione reale o immaginaria? Unita o divisa? Divisa e in quanti pezzi? Sono cresciuto negli anni Sessanta, quando il problema sembrava arretrato, superato. Sembrava colore locale, quando invece il neocapitalismo appariva un'entità geometrica e incolore, dovunque uguale. Come uguale dovunque doveva essere il modo di combattere il sistema e i padroni. Non escludo che queste ultime entità esistano tuttora. Ma è chiaro che l'Italia ha anche problemi specifici.
Per capire qualcosa di più sul tema e avere qualche informazione fresca ho letto il lungo editoriale dell'ultimo numero di "Limes" (2/2009) seguito dall'inchiesta L'Italia secondo gli italiani a cura di Ilvo Diamanti, Luigi Ceccarini, Fabio Bordignon, Natascia Porcellato. Quello che vengo a sapere, grosso modo lo sapevo già. Il bello della sociologia è che ci dà numeri e tabelle per essere certi delle nostre intuizioni. Ecco in sintesi i risultati: l'Italia non esiste e non conta, ma bisogna fare come se esistesse. Gli italiani esistono ma bisogna fare l'Italia. Non ci riconosciamo in istituzioni comuni. Non crediamo nello Stato e ne diffidiamo. Nonostante questo, siamo uno dei paesi in cui si vive meglio. Stiamo fermi e ci adattiamo, mentre il mondo corre. Su 60 milioni di abitanti 4 sono stranieri, di cui circa 500 mila clandestini. Questo ci spaventa. Abbiamo il primato mondiale degli ultrasessantenni. Crediamo nella famiglia, nel bel paesaggio, nella nostra creatività, nella nostra cucina, nel nostro modo di vivere, nell'arte di arrangiarsi. L'Italia è dunque un'entità antropologica, più che civile e politica.
Fin qui la sociologia come sondaggio. Si sente la mancanza di un'antropologia culturale della nostra storia millenaria. Chissà se per il 2011, nei 150 anni dell'Italia unita, qualche libro ci dirà di più. È difficile. Infatti: dicesi italiano colui che non vuole conoscere se stesso.
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