Ma davvero WhatsApp è una minaccia per la democrazia?
venerdì 9 novembre 2018
«WhatsApp è pericoloso». È l'oggetto di una mail che mi è arrivata da Avaaz. Cioè da quella che il quotidiano inglese Guardian ha definito «la rete di pressione politica online più grande e più efficace del mondo». Detta in maniera più banale, è una di quelle piattaforme dove persone comuni lanciano petizioni su temi di diverso tipo, raccogliendo l'adesione di semplici cittadini. Ne esistono diverse. Di diverso orientamento. E molte hanno fatto e fanno davvero cose egregie.
Per questo la mail di Avaaz mi ha colpito. Non c'è praticamente persona dotata di uno smartphone che non usi WhatsApp, cioè l'app di messaggistica più popolare del mondo, entrata da tempo nella galassia Facebook. Senza WhatsApp non esisterebbero le chat dei genitori di scuola (e molti, probabilmente, ne sarebbero anche felici, visto che in quelle chat ad ogni messaggio seguono decine di risposte a volte anche inutili, facendo squillare i telefonini come se fossero impazziti). Ma soprattutto senza WhatsApp una larga fetta della nostra comunicazione digitale sarebbe meno semplice e forse anche meno efficace.
Dove sta, quindi, il problema? All'inizio ho pensato che Avaaz si riferisse a ciò che è accaduto in India, dove nell'ultimo anno ci sono stati ben 46 morti e 43 feriti per colpa di una serie di false notizie su presunti rapimenti di bambini rimbalzate sull'app di messaggistica. Una tragedia che ha portato il Governo a chiedere a WhatsApp di aumentare i controlli, se non voleva essere vietata.
Invece la campagna di Avaaz contro Zuckerberg e WhatsApp è legata alle recenti elezioni in Brasile. Si legge nella petizione: «Ci sono prove schiaccianti che Whatsapp sia diventata un'arma di distruzione democratica di massa». E ancora: «Zuckerberg e WhastApp dovete cancellare tutti i profili falsi e fraudolenti e correggere tutte le notizie false che circolano sulle vostre piattaforme in modo tempestivo».
Mentre scrivo, la petizione si sta avvicinando alle 700mila firme. Un bell'esempio di democrazia, non c'è che dire. Quello che però mi convince meno è la tesi che emerge dalla petizione. La riassumo per brevità: Jair Bolsonaro, eletto presidente del Brasile è (testuale) «un fascista che fino a poco tempo fa non era nessuno. Come ha fatto ad essere eletto?». Semplice: ha inondato i brasiliani di fake news via WhatsApp.
Quindi la colpa è di WhatsApp. E qui, come direbbe Totò, casca l'asino. Perché la colpa non è solo di WhastApp adesso come non lo è stata solo di Facebook per l'elezione di Trump. La colpa è di queste piattaforme che non sono certo perfette ma anche – e permettetemi – soprattutto dei singoli elettori. Chiedere infatti come in questa petizione che i social e l'app puliscano tutti i profili falsi è giustissimo ma non serve a niente se accanto a questo non lavoriamo tutti, innanzitutto su noi stessi, per migliorare il nostro rapporto con il mondo digitale e soprattutto con la verità.
Ogni volta, infatti, che abbiamo a che fare con un sistema di computer che può essere anche ingannato e usato in maniera truffaldina, ci viene automatico invocare l'arrivo di un algoritmo o di un «poliziotto digitale» che pulisca tutto. Pur avendo grande fiducia nella capacità di apprendimento della cosiddetta intelligenza artificiale temo ci vorranno ancora molti anni perché ciò possa avvenire senza mettere in pericolo altre libertà.
Nel frattempo, per noi italiani, il problema più grave legato a WhatsApp è un altro. Presto arriverà la pubblicità. Non potendo più lucrare a sufficienza con i nostri dati, visto che dopo lo scandalo Cambdridge Analytica le maglie sulla privacy si sono giustamente strette, per tenere in vita e far crescere il suo sistema gratuito Zuckerberg ha bisogno di soldi. Scapperemo tutti verso il concorrente russo Telegram? Non credo. Perché l'essere umano è mediamente pigro. E l'«uomo digitale» un po' di più.
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