Tra le tante pagine scritte dagli psicanalisti seri come da quelli da quotidiano manca, mi pare, una riflessione recente su come sono cambiati i nostri sogni e su cosa sognano i giovani, e cosa sognano i bambini. In questi anni, oggi. Fu per primo, mi pare, il grande Georges Perec molti anni fa a dire che anche i sogni cambiano, che le tipologie freudiane erano sorpassate e che si sognava diverso – che nel mondo che cambia, cambiano anche i sogni. È certamente vero, anche se in mezzo ai sogni prodotti dalle frustrazioni e dalle paure e dalle speranze che tra passato e futuro fanno il nostro presente, ci sono sogni che tornano, sogni antichi, forse eterni, spesso freudiani. Il mio incubo costante è da tanti anni quello di dover mettere in salvo un gruppo di persone, preferibilmente bambini, da una catastrofe naturale o da una guerra, di riuscire a farli salire su un’automobile o un pullman o perfino un aereo, e di accorgermi, mettendomi al voltante, di non saper guidare. Forse è poco freudiano, ma dalle confessioni di molte amiche e amici che, come si dice, “si occupano del sociale”, in Italia o altrove, so di non essere solo io a fare sogni del genere: sogni di impotenza, di inadeguatezza, di impossibilità di poter risolvere davvero qualcosa di fronte a un mondo che si è fatto ancora una volta terribilmente terribile. Pensavo a questo sfogliando, leggiucchiando qua e là il Libro di sogni che il grande Borges mise insieme molti anni or sono: una mirabile antologia di sogni rubati ad autori di tutti i tempi, da Gilgamesh a Hawthorne, da Orazio a Machado, a cui si devono i due sogni forse più belli di questa raccolta, che ne mette insieme – tipico dell’augusto giocoliere letterario che fu Borges – di inventati da lui, i sogni come gli autori. Il libro è stato appena ristampato nella Piccola Biblioteca di Adelphi (pagine 336, euro 15.00), con una post-fazione di Tommaso Scarano. In attesa di leggere qualche antologia dei sogni che fanno i ventenni e i decenni di oggi, i teens e i twinks come dicono gli americani, è proprio dal Proverbi e cantari dell’amato Machado che rubo i due sogni forse più belli dell’antologia. Il primo: «Ieri ho sognato di vedere / Dio e di parlare a Dio; / e ho sognato che Dio m’udiva… / Poi ho sognato di sognare». Il secondo: «Stanotte ho sognato di udire / Dio che mi gridava: All’erta! / Poi era Dio che dormiva/ e io che gridavo: Svegliati!».
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