Che cosa significa davvero credere in Dio? Forse semplicemente ammettere che Dio esiste e che si prende cura di noi, piccole creature su un pianeta tra i tanti, in un sistema solare tra i tanti. Ma proprio questa diventa la certezza che sorregge una vita. Cavalli selvaggi (Einaudi), romanzo dell'americano Cormac McCarthy, a un certo punto riporta un dialogo tra due personaggi che apre uno squarcio inedito su cosa significa credere. «Secondo te Dio tiene d'occhio la gente?» rise Rawlins. «Sì. Penso di sì. Tu?». «Sì. Visto come il va il mondo lo penso anch'io. Un giorno uno si sveglia e starnuta in Arkansas o in qualche altro posto, e prima che tu te ne accorga succedono guerre, disastri, il finimondo. In un attimo non si capisce più niente. Secondo me Lui ci sta attento. Altrimenti non saremmo in grado di sopravvivere un giorno».
Sintomatico che uno scrittore come McCarthy, che non ha lesinato racconti intrisi di drammi e violenze, si lasci andare a una testimonianza di fede del genere. «Dio tiene d'occhio la gente». Per spiegare ai suoi ragazzi chi è Dio, Greg Boyle, gesuita che lavora coi giovani ispanici affiliati nelle gang violente di Los Angeles, usa questa frase: «Uno che non smette di toglierti gli occhi di dosso». Non uno sguardo predatorio, ma una visione amorevole, di padre e insieme di madre.
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