Non so cosa dicano le statistiche ma la “torta” sociale, almeno qui in Italia, sembra divisa in due grandi fette. In una, la più spessa, c'è chi usa lo zainetto, nell'altra chi preferisce borse e valigette. Che però, all'occorrenza, diventano zainetti. All'inizio c'era la “discriminante” dell'età: "Daì, è roba da ragazzini". Adesso a fare la differenza sono i disegni e le frasi che personalizzano i modelli. I più piccoli scelgono gli avengers, poi tocca ai colori delle squadre di calcio e basket, i quasi maturi rivelano nostalgie Disney, i professionisti puntano su pelle, cuoio e tinte scure. Il dato comune è che ciascuno porta con sé, letteralmente sulle spalle, l'essenziale del proprio mondo in formato mignon. Ed è bella, anche se spesso non detta e non capita, la filosofia che pare esserci dietro: ho quanto mi serve per andare dove c'è bisogno di me. L'uomo con lo zainetto è, o almeno dovrebbe, chi si mette a disposizione del cambiamento, chi è smart senza perdere tempo a spiegarlo, chi «basta una telefonata e arrivo». Troppa immaginazione? Esagerato ottimismo? Forse. Ma è bello pensare che dietro la scelta di ciò che indossiamo e ci mettiamo addosso ci sia qualcosa di più importante e meno effimero della moda. Non solo la banalità del “così fan tutti”.
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