Lo sport italiano si scopre senza donne dirigenti...
mercoledì 6 marzo 2024
Venerdì 8 marzo sarà la giornata internazionale dei diritti delle donne e per l’ennesima volta tanti i motivi per cui interrogarsi: dalla tragica scia di sangue dei femminicidi, a un numero ancora imponente di Paesi del mondo dove la donna vive in condizioni estremamente penalizzanti, al tema del diverso accesso (in Italia come in tutto al Pianeta, con la sola eccezione dei Paesi scandinavi che da questo punto di vista sono un riferimento) al mondo del lavoro, della politica, della cultura e anche, sì, dello sport. Questa rubrica vuole, da ormai tanti anni, posare il suo sguardo sullo sport strumento di analisi della società e, allora, riflettiamo sulla parità di genere che, anche nel mondo sportivo italiano, rimane lontana. Secondo una ricerca del Censis, dei 4.708.741 atleti tesserati nelle diverse Federazioni, le donne sono appena il 28%. E nelle aree tecniche e dirigenziali le donne sono ancora meno: le allenatrici sono solo il 20%, le dirigenti di società il 15%. L’accesso alla pratica sportiva non è, purtroppo, il problema principale. Il problema più evidente è infatti la clamorosa sottorappresentazione delle donne nelle figure di governance dello sport. Da lì dovrebbe partire un processo di cambiamento che, inevitabilmente, si rifletterebbe su un migliore accesso e una più consolidata pratica dello sport al femminile. Occorre partire da chi decide, stabilisce priorità, definisce una visione e determina una cultura. Partendo dal vertice scopriamo che il Coni riconosce 47 federazioni sportive, 16 discipline associate e 14 enti di promozione sportiva nazionali, per un totale di 77 organizzazioni che dirigono lo sport, tanto di vertice quanto di base. Le donne ai vertici di queste 77 organizzazioni (78 contando il Coni stesso) sono soltanto due: Antonella Granata, Presidente della federazione Gioco Squash, e Laura Lunetta, Presidente della federazione Danza Sportiva. Come è possibile immaginare una maggiore sensibilità e progetti concreti per una pratica più diffusa dello sport fra le donne, una riduzione del tasso di abbandono, un’abitudine più femminile alla “cultura del movimento” in età adulta e nella terza età se ai posti di comando sono seduti solo e quasi esclusivamente presidenti uomini? Il numero di donne che fa sport sta aumentando (non fosse che per una banale questione numerica, le donne sono il 51,3% della popolazione residente in Italia contro il 48,7% di uomini), ma il genere femminile resta incredibilmente sottorappresentato negli organi decisionali delle istituzioni sportive a livello locale, nazionale, europeo e mondiale. Lo sport è ancora considerato come un ambito prettamente maschile, un settore dominato da uomini e anche raccontato in quel modo. A tenere le donne in secondo piano nel mondo dello sport, infatti, contribuiscono anche gli stereotipi dei media: si registrano ancora differenze significative nella copertura degli sport maschili rispetto a quelli femminili e il giornalismo sportivo, al netto di lodevoli eccezioni, è ancora un tema declinato principalmente al maschile. Per favorire uno scatto in avanti dello sport, spesso capace di anticipare la realtà, occorrono programmi di formazione, tutoraggio, politiche proattive che incoraggino le giovani donne a rimanere nello sport, magari con ruoli manageriali. Perché, soprattutto e prima di tutto, al nostro Paese occorrono dirigenti sportive donne. © riproduzione riservata
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