Più che semplice mezzo di trasporto, spesso un involucro di solitudini che faticano ad aprirsi. Poco per volta, la (quasi) normalità recupera spazi, e chissà che non riesca a riscaldare gli ambienti dov'è difficile incontrarsi. Esempio classico, l'ascensore, che quasi sempre, malgrado il tu per tu obbligato, riduciamo al polpastrello con cui premiamo il tasto di salita. E discesa. Con un tantino di timore, dopo troppi viaggi su e giù senza soste intermedie, adesso capita di farsi coraggio, girare la maniglia e invitare a entrare: a che piano va? I dialoghi sono ridotti all'osso come nella pre-pandemia, però ci si concentra meno sulle scarpe e sul telefonino per abbozzare un po' di buone maniere in più: salga, sono vaccinato. Il Covid come argomento base, triste e necessario, nel solco di quell'educazione al rispetto su cui ci siamo concentrati per mesi con l'illusione di costruire una nuova solidarietà. Utopia, forse, anche se qualcosa si muove. E poi in fondo dipende da noi migliorare la vecchia socialità, è compito nostro far sì che lo specchio dell'ascensore non serva tanto a controllare se siamo pettinati o meno, ma diventi vetrina del piacere di incontrarsi, anche solo un attimo, giusto il tempo di un piano in salita. O in discesa.
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