Ttutto pronto per la 38ª, l'ultima recita del campionato di Serie A. Il più avvincente del Terzo millennio, almeno per noi che non ricordavamo un finale alla "sirena" come dicono quelli del basket. Un derby tricolore quello tra Milan e Inter che ha riportato un entusiasmo incredibile all'ombra della Madonnina. Quando San Siro ha riaperto al 100% della capienza, è stato uno spettacolo unico rivedere, a turno, 75mila supporters rossoneri e nerazzurri. Il calcio lo fa la gente ed è della gente, concetto chiaro a tutti, tranne che agli oligarchi della Fifa che pensano che basti un pallone e un tackle nel deserto per organizzare un Mondiale, come quello natalizio di Qatar 2022. «Ma noi non ci saremo», cantano i Nomadi appena intercettati come "padrini" della Popotus Cup dedicata a quel gran signore della panchina che è stato Emiliano Mondonico. Oggi si sarebbe divertito il "Mondo" a commentare il rush finale di Milan e Inter. E sarebbe ancora più gasato Emiliano se la sua squadra fosse stata il Sassuolo chiamato a fare da arbitro dello scudetto. «Dobbiamo giocare per vincere», ha detto alla vigilia il mister degli emiliani Alessio Dionisi. Gli interisti pessimisisti, la maggioranza, non ci contano sull'appoggio del Sassuolo. Non gli basta la garanzia sponsoriale di Beppe Marotta che per testimone di nozze ha avuto l'ad dei neroverdi Giovanni Carnevali. Persino la grande anima del Sassuolo, l'indimenticato padre patron Giorgio Squinzi da lassù continua a tifare Milan. Var permettendo, speriamo che gli scempi siano terminati, Stefano Pioli ha il titolo in tasca. Meritato, per la continuità e la capacità di aver portato al successo la squadra più giovane e volitiva, ma non la più forte. Quella era l'Inter di Simone Inzaghi che, nonostante le fughe dei cervelli Hakimi e Lukaku, ha avuto a disposizione la migliore rosa del torneo, e se ora non accade l'impossibile, archivierà la sua prima stagione nerazzurra con una Supercoppa ereditata da Conte e una Coppa Italia. Un po' poco per gli appetiti della tifoseria interista che con FantAntonio Conte, volato nuovamente a Londra, sponda Tottenham, speravano in un lungo ciclo pluriscudettato, modello Juventus. Eccola, la grande delusione dell'anno: la Juve di Max Allegri. Il caciucco alla livornese riscaldato è andatodi traverso a tutti i suoi tifosi che non si accontentano del 4° posto e soprattutto non hanno ancora capito se il rinforzone Vlahovic è il nuovo Van Basten oppure un Aldo Serena più aggrazziato. Per il presidente Andrea Agnelli si chiude un anno da pianto: lacrime agli addii di Giorgio Chiellini, per fine corsa, e la rottura di Paulo Dybala che pensava da bandiera bianconera ma ora sventolerà altrove, e chissà dove lo porterà il cuore del suo procuratore? Tutto questo lo scopriremo dopo l'ultima febbre a 90' e comunque vada ha ragione Roberto Mancini: «Un tempo
c'erano tanti campioni, adesso troppo pochi».
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