Libertà e scienza Autonomi o automi?
venerdì 11 giugno 2021
Le neuroscienze e le ricerche sulla soggettività, sulla mente umana e sulla fisiologia cerebrale, migliorano, miglioreranno l'uso che facciamo della nostra autocosciente capacità di percepire, capire e pensare? L'impressione che al profano fanno certe scienze dell'umano è che suggeriscano il prevalere, se non il dominio, di una logica deterministica nei processi interiori. Scelte, volontà, libertà finiscono per apparire nient'altro che nobili, idealistiche illusioni, perché in realtà, scientificamente parlando, risulterebbe che siamo soltanto macchine biologiche, in cui geni e neuroni decidono tutto. Crediamo di essere liberi e invece la fisiologia sceglie per noi. Ora è certamente vero che corpo e mente interagiscono: il che però non significa che la mente non abbia i suoi poteri di agire sul corpo. Il fatto è che a questi poteri bisognerebbe anzitutto credere e ci si crede se si impara a usarli. Penso a questo mentre sfoglio con molta curiosità e un po' di preoccupazione una serie di bei volumi appena pubblicati dall'editore Raffaello Cortina: Sentirsi vivi. La natura soggettiva della coscienza di Christof Koch (neuroscienziato), Sull'identità a cura di Francesco Remotti (antropologo), La politica della cura. Prendere a cura la vita di Luigina Mortari (epistemologa della ricerca qualitativa), I luoghi che curano di Paolo Inghilleri (psicologo sociale). Libri in cui scienza e scientismo dialogano con l'etica, lo studio biosociale con l'idea di una vita buona. Impressionante la vasta bibliografia internazionale che chiude il libro di Koch e che è stata prodotta negli ultimi anni o decenni, in cui trovo termini come: biologia computazionale, teoria cognitiva della coscienza, comportamento e scienza del cervello, materia e coscienza... Negli altri libri compaiono anche Platone e Aristotele, Seneca e Montaigne, Hume, Heidegger, Wittgenstein, Adorno e Berlin. È in corso una dialettica, che a volte sembra una lotta, fra tradizione umanistica e scienze sperimentali della vita umana e mi chiedo se le scienze attuali della mente e della soggettività possano sostituire l'autocoscienza e l'introspezione, l'uso dell'attenzione volontaria e l'abitudine alla consapevolezza: cioè gli imperativi classici delle religioni, delle filosofie, dell'etica, della pedagogia, senza di cui neppure la grande letteratura sarebbe nata. In sostanza: siamo dei soggetti autoregolati o invece oggetti dello studio sperimentale compiuto da scienziati? La cosa più temibile è che società iperorganizzate possano usare la ricerca neuropsicologica per programmare individui eterodiretti sempre meno capaci di prendere decisioni.
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