Inizia domani a Torino il 31° Salone del Libro. Come sempre, e paradossalmente ancor di più negli ultimi due anni dopo momenti di grande difficoltà che il nuovo direttore editoriale Nicola Lagioia ha saputo trasformare in linfa vitale, saranno cinque giorni di grande vivacità intellettuale, di eventi, perfino di una sorta di riscatto della parola scritta su carta, di piacere della lettura lenta, di fuga strategica (ma solo per cinque giorni, per carità!) da smartphone, Twitter, Facebook, da parole scritte con inchiostro elettronico e lette fra una fermata e l'altra della metropolitana o appesi a un corrimano del tram. Cinque giorni che avranno il compito di ricordarci che la cultura può essere un volano positivo per l'economia di una città (qualche hanno fa la Camera di Commercio di Torino aveva stimato un impatto economico complessivo del Salone superiore ai 50 milioni di euro) e, contemporaneamente, che oggi tutti noi siamo alla ricerca di gesti lenti, di paracaduti che ci permettano di poter godere un po' del paesaggio mentre precipitiamo vorticosamente verso chissà quale punto di impatto.
La letteratura, i libri sono proprio lì a fare da paracadute. Julio Cortázar, grande romanziere argentino appassionato di boxe, spiegava che alla povera gente piacciono i romanzi che raccontano di Re, Regine e castelli fatati. La ragione, sostiene Cortázar è legata al fatto che chi non ha esperienza di un certo tipo di vita, vuole conoscerla e viverne le emozioni, mettendosi di fronte all'esercizio del desiderio di qualcosa che è capace di allontanarti dal tuo quotidiano. Se i libri, dunque, servono a sognare, così è lo sport. Anzi: la magnitudine dei campioni è proporzionale alla loro capacità di far sognare i tifosi. Ecco perché sulla schiena di milioni di ragazzi, anche di quelli che vivono nei posti più sfortunati e miserabili del pianeta, compaiono su casacche più o meno taroccate, i cognomi dei protagonisti dello sport planetario: Cristiano Ronaldo, Messi, Ibrahimovic, ma anche LeBron James o qualche (a noi) sconosciuto atleta di Hockey su Ghiaccio, Cricket, Rugby e così via. La maglia del cestista greco di origine nigeriana Giannis Antetokoumpo, stella della Nba, l'hanno disegnata (e sarà lunga una quarantina di metri), su un playground in periferia ad Atene che visto dall'alto sembra l'ingresso della tana del Bianconiglio, una porta di ingresso che si affaccia su un mondo fantastico. Onestamente non mi è ancora capitato di vedere sulle spalle di qualche ragazzino brasiliano, palestinese o etiope, una maglia con scritto sulle spalle "Leopardi", "Hemingway" o "Garcia Marquez", ma al massimo magliette (a dire il vero anche tazze per la colazione, orologi da parete o calamite da appendere al frigorifero) con qualche frase da loro scritta.
Pochi giorni fa, in occasione dell'anniversario dell'incidente aereo che portò via tutti i giocatori del Grande Torino leggevo un articolo di Dino Buzzati del 5 maggio del 1949, proprio il giorno successivo alla tragedia di Superga. Buzzati scriveva: «Avrebbero avuto altrettanto dispiacere i bambini di tutta Italia se l'aereo fracassatosi a Superga fosse stato carico di scienziati illustri? No, sia detto sinceramente. E se fosse stato carico di famosi scrittori e poeti, la gente ne avrebbe sofferto altrettanto? Neanche in questo caso se vogliamo essere onesti. Perché no i pittori, i musicisti, i sommi avvocati, i filosofi? Perché i campioni di calcio sono più belli, più semplici, più evidenti, più giovani e nelle ore felici, al centro delle arene, risultano un'incarnazione della favola».
Ogni anno, quando arriva il Salone del Libro, penso all'effetto potenzialmente dirompente rappresentato dell'interazione di questi due mondi: la letteratura e lo sport. Due detonatori capaci di parlare il linguaggio delle emozioni, di far sognare milioni di persone. Per tanti anni la letteratura sportiva è stato un vero e proprio genere solo lontano dall'Italia, in particolar modo nei Paesi anglosassoni e in Sudamerica. Oggi, forse, le cose stanno cambiando, la nostra editoria si occupa sempre più e sempre con più qualità di sport. Insomma, se il poeta Valerio Magrelli con orgoglio può dire: «Due cose erano vietate per la mia generazione negli anni Settanta: la poesia e gli sport. E io li facevo entrambi!», essendo passati quasi cinquant'anni dagli anni 70 ci auguriamo che sia arrivato il tempo per vedere presto un Salone dedicato alla letteratura sportiva, per camminare finalmente sulla traccia che giganti come Pasolini, Buzzati, Saba, Arpino, Brera, Clerici hanno indicato, dedicando righe di letteratura (e di che qualità!) a un pallone, a una bicicletta, a una racchetta da tennis.
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