Quando pensiamo ai robot la nostra mente corre in avanti, nel futuro. Probabilmente è «colpa» di tanti film di fantascienza, per non parlare dei romanzi di Asimov, Dick e Clarke. Quelle storie proiettate nel futuro ci hanno fatto dimenticare che il primo robot funzionante fu creato, secondo gli esperti, nel 1738 da Jacques de Vaucanson. Era un androide che suonava il flauto. Ma soprattutto erano quasi 300 anni fa.
In pratica, sono (quasi) tre secoli che l'uomo costruisce – come li definisce la Treccani – «apparati meccanici ed elettronici programmabili, in sostituzione dell'uomo, per eseguire automaticamente e autonomamente lavorazioni e operazioni ripetitive, o complesse, pesanti e pericolose».
Non c'è fabbrica, ormai, che non ne abbia almeno uno. I robot – ammettiamolo – ci fanno anche paura. Innanzitutto perché (hanno sottratto) sottraggono (e sottrarranno) lavoro all'uomo. Ma la vera paura insita in molti di noi (amplificata, ancora una volta, da film e romanzi) è che le macchine un giorno prendano il controllo sull'uomo.
A riaprire il dibattito è una notizia che arriva dal Massachusetts Institute of Technology, il famoso Mit – cioè, una delle più importanti università di ricerca del mondo. Se siete impauriti dai robot, la notizia è che un gruppo di scienziati ne ha creato uno in grado di «leggere» il pensiero umano. Se invece credete che possano essere validi aiuti dell'uomo, la notizia è che il robot Baxter può essere «comandato» da un uomo attraverso il pensiero.
In pratica: questo robot è sì capace di «leggere» la mente di una persona, ma solo per capire se il compito che sta svolgendo viene eseguito in modo corretto. L'aspetto più interessante è che l'interazione uomo-macchina (al momento per azioni relativamente semplici) avviene senza che l'essere umano debba adattare il proprio modo di pensare ma può dettare comandi «mentali» alla macchina in maniera del tutto naturale.
Spiega Daniela Rus, direttrice del Computer Science and Artificial Intelligence Laboratory (Csail) del Mit: «In questo caso l'uomo non deve addestrarsi per pensare in un certo modo. È la macchina che si adatta all'uomo e non il contrario». Per arrivare a questo punto viene monitorata l'attività cerebrale di chi comanda «per cogliere quei segnali che il nostro cervello produce ogni volta che nota degli errori». Il sistema messo a punto dal Mit è in grado di rilevarli per far capire al robot se l'umano «collegato» con lui approva o disapprova quello che sta facendo.
Tutto questo, come ha spiegato Daniela Rus, «migliorerà le nostre abilità di supervisionare i robot nelle fabbriche, ma anche le auto senza pilota e altre tecnologie che non abbiamo ancora inventato». A voi decidere se gioire o spaventarvi.
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