Le vite di Iannacone elevano anche la tv
sabato 1 giugno 2024
Finalmente. Finalmente Domenico Iannacone è tornato. Abbiamo rischiato di perderlo (televisivamente parlando). C’è stato un momento in cui in un rimpallo di responsabilità sembrava scaricato dalla Rai. Lui, nel frattempo, ha girato i teatri di tutta Italia e continua a farlo portando in scena le storie di vita, di ingiustizia e di emarginazione, ma anche di riscatto, che ha raccolto soprattutto in quel profondo Sud del nostro Paese dove ora è tornato con le telecamere per verificare se qualcosa è cambiato rispetto a quanto documentato qualche anno fa. Il nuovo Che ci faccio qui (il giovedì in prima serata su Rai 3) è ripartito (con il titolo di puntata «Ti vengo a cercare» che evoca Franco Battiato) dalla Calabria, dalla tendopoli di Rosarno, tra le pieghe di un’umanità dolente racchiusa dentro sacche di povertà estrema. E poi dal deposito abbandonato dove Iannacone ha ritrovato Alì, un bracciante di origini senegalesi, da 14 anni in Italia, che non ha mai ottenuto il permesso di soggiorno, ma nemmeno perso il sorriso e la voglia di vivere, grazie anche a uomini come Bartolo Mercuri, che da oltre vent’anni, con la sua associazione «Il cenacolo», porta da mangiare e una parola di conforto ai tanti che vivono in condizioni disumane nel suo territorio. Come detto altre volte, ma non ci stanchiamo di ripeterlo, quelli di Iannacone non sono freddi reportage, sono una sorta di docu-film, sostenuti da scrittura, montaggio e in qualche modo recitazione, anche se l’autore-regista, pur essendo sempre in scena, non impone la sua presenza, anzi favorisce il racconto e la trasmissione delle emozioni con uno stile inconfondibile: entra nelle storie che racconta, ci si immerge, le vive e le fa vivere al telespettatore accompagnandolo in un viaggio tra miseria e disuguaglianza, ma anche bontà e speranza. È una delle cose migliori che la tv sia in grado di offrire. © riproduzione riservata
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