Chi almeno una volta nella vita ha avuto occasione di visitare delle catacombe certamente ha sperimentato il senso di profondo, angosciante smarrimento che quei cunicoli bassi e claustrofobici trasmettono. Sia dal punto di vista fisico – peggio, molto peggio di un labirinto, perché da questo, se conosci quale sia il trucco costruttivo, esci sempre: dalle catacombe, se ti perdi, no – che da quello psicologico, pensando a come si dovevano sentire i primi cristiani che lì si rifugiavano, vivendo come topi per sfuggire alle persecuzioni. Luoghi, le catacombe, che «ci ammoniscono che la Verità, vissuta con fede e con dignità, finisce per farsi strada e per diventare benefica e salutare a quelli stessi che l'hanno impugnata», come disse Paolo VI visitandole nel 1965. E qui – concluse – «il Cristianesimo affondò le sue radici nella povertà, nell'ostracismo dei poteri costituiti, nella sofferenza d'ingiuste e sanguinose persecuzioni; qui la Chiesa fu spoglia d'ogni umano potere, fu povera, fu umile, fu pia, fu oppressa, fu eroica».
Qualche giorno fa, il 2 novembre, nel celebrare la Messa dei defunti nelle catacombe di Priscilla, papa Francesco ha "confessato" come quella fosse la prima volta che metteva piede in un luogo del genere. E il tono, prima ancora che le parole, della sua omelia – tutta "a braccio" – dimostrava quanto egli stesso fosse colpito da quella sensazione di cui si parlava. «Per me – ha detto – è la prima volta che entro in una catacomba. È una sorpresa, ci dice tante cose. Possiamo pensare alla vita di questa gente che doveva nascondersi, che aveva questa cultura di sotterrare i morti, celebrava l'Eucaristia qui dentro».
Tempi lontani? Non proprio, perché lo stesso succede ai nostri giorni in quei Paesi in cui «essere cristiano è un crimine, è vietato, non è un diritto... dove i fedeli devono persino fare finta di fare una festa, un compleanno, per celebrare l'Eucaristia». Al punto che si può dire che «ancora oggi ci sono tante catacombe... Anche oggi ci sono cristiani perseguitati, più dei primi secoli». E ha voluto ricordare a questo proposito Francesco quanto gli raccontò una religiosa incontrata durante il suo viaggio in Albania del 2014: «Era in un campo di rieducazione in tempo comunista, era vietato ai sacerdoti dare i sacramenti e questa suora battezzava di nascosto. I cristiani sapevano che questa suora battezzava e le mamme si avvicinavano col bambino. Lei non aveva bicchieri e con le scarpe prendeva l'acqua dal fiume. Battezzava con le scarpe...».
Le catacombe, e i testimoni di ieri e di oggi, ci indicano insomma quel cristianesimo delle beatitudini che, secondo Bergoglio, rappresenta l'unica, e sola, «carta d'identità del cristiano... Se tu fai questo, se vivi così sei cristiano. "Ah, ma io appartengo a questa associazione, sono di questo movimento...". Tutte cose belle ma sono fantasie davanti a queste realtà». Nessuno dice che tutto ciò sia semplice, anzi. Ma c'è «un altro pezzo del Vangelo ci aiuta a vivere meglio: è Matteo 25, il grande protocollo con il quale noi saremo giudicati. Con questi due passi del Vangelo, le beatitudini e il "grande protocollo", noi faremo vedere la nostra identità di cristiani. Senza questo non c'è identità, c'è la finta di essere cristiani, ma non l'identità». È qui che perfino le catacombe, intese come luogo fisico, perdono la loro dimensione tetra per diventare, appunto, paradigma di chi crede. Perché il «posto del cristiano è dappertutto. Non abbiamo un posto privilegiato, alcuni vogliono averlo, sono cristiani "qualificati". Ma questi corrono il rischio di rimanere col "qualificati" e far cadere il cristiano... Il posto del cristiano è nelle mani di Dio. Nelle mani di Dio siamo sicuri, succeda quel che succeda, anche nella croce». Solo affidandosi a Lui tutto acquista un senso.
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