mercoledì 27 aprile 2022
Ieri dalla Azovstal si alzavano volute di fumo nerissimo. Chissà l'aria, ho pensato, che dagli sfiatatoi ricade nei sotterranei, in quegli stanzoni colmi di donne e bambini. I soldati del battaglione Azov il giorno prima erano scesi dai rifugiati. Gente orgogliosa gli ucraini, perché non uno dei ragazzini di sette o otto anni nel video piangeva, e nonostante la lunga prigionia là sotto erano tutti puliti e ordinati. Maschi e femmine si davano il cinque con le grosse mani dei soldati. E, sorridevano. Possibile, mi sono chiesta, che non capiscano? A quell'età piace ai bambini giocare alla guerra, immaginarsi cowboys circondati in un fortino. Che non realizzino del tutto la tragedia, i bambini?
Le madri, invece, sanno tutto, sanno ogni cosa. Hanno una pena in faccia che è più che strazio: è attendere l'agonia dei figli. E i bambini più piccoli, che nel viso della madre si riflettono, sono infatti tristi, o atoni. Non c'è più attorno sole, né cielo, né casa. Ma ciò che mi ha sbalordito è una bambina sui nove anni, con i capelli lunghi divisi in ordinatissime trecce. Tante trecce, e perfette, come in ritratti di lontane principesse austroungariche, e dello stesso biondo ramato. Non s'improvvisano, simili trecce: si tramandano di madre in figlia. E persino laggiù, nel buio più fondo d'Europa, mani materne pettinano le ciocche, dolcemente: perché sia bella, la loro bambina.
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