Una recita cinematografica di Federigo Tozzi è uno dei primi racconti della letteratura italiana ispirati alla cosiddetta “settima arte”. Pubblicato nel 1918, è la storia di Calepodio, ciabattino e portiere in un condominio di Roma, e del suo amore ingenuo per la signora Pia, una piacente inquilina che si diverte a provocarlo. Ma la donna muore all’improvviso, gettando Calepodio nella disperazione. Il poveretto va verso il Tevere e sarebbe pronto a uccidersi, se non fosse per una troupe impegnata a simulare un suicidio. I cinematografari buttano un fantoccio nel fiume, lo ripescano, sghignazzano. Calepodio se ne va sconsolato, convinto che la finzione lo abbia privato della sua morte. Da un altro punto di vista, si potrebbe sostenere che il manichino – simulacro di ogni eventuale comparsa – gli abbia salvato la vita. C’è però un altro elemento che merita di essere sottolineato. Per Calepodio, annota Tozzi, «gli uomini sono le loro scarpe: non gl’importa d’altro». Pochi anni prima, nel 1914, Marcel Fabre aveva realizzato Amor pedestre, un breve film nel quale i volti non compaiono mai e tutto viene raccontato attraverso i movimenti di gambe e piedi. Forse lo scrittore lo conosceva, forse no. Resta il fatto che, a volte, basta un passo per fare di una comparsa un prim’attore. E viceversa.
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