Caro Avvenire, in questi giorni si sono intensificati gli scontri fra le navi cinesi in diretto conflitto con quelle filippine e giapponesi che tentano di difendere le proprie isole dall'invasione del regime di Pechino. Siamo in presenza di un'autentica escalation militare, di una gravità inaudita, ma l'attenzione a quanto sta avvenendo è quasi inesistente. C'è una crisi che il mondo non vuole vedere. Ma la realtà ci dice che la Cina è in conflitto con gran parte dell'Asia per estendere i suoi territori.
Cristiano Martorella
Caro Martorella, la sua informata lettera ci porta in uno scenario che le guerre più vicine a noi - e oggettivamente in questo momento più gravi - tendono a oscurare. Nei giorni in cui il presidente cinese Xi Jinping si trova in Europa per colloqui in cui si spera di convincerlo a fare rispettare la sovranità territoriale ucraina da parte del suo alleato Vladimir Putin, può essere utile aprire una finestra su quale sia la concezione di Pechino in materia.
E vale la pena di tornare all’estate scorsa, quando il ministero delle Risorse naturali della Repubblica popolare ha diffuso l’annuale mappa del Paese. Che fa sempre infuriare gli Stati confinanti. Nel 2023 è stata l’India, con manovre militari, a dare la risposta più esplicita alla rivendicazione cinese di lunga data sull’Arunachal Pradesh (Tibet del Sud), dove gli scontri alla frontiera non sono rari (20 soldati indiani uccisi nel 2020).
Ma la tensione è perennemente alta anche nel Mar Cinese Meridionale, dove un’altra cartina segnala l’espansionismo di Pechino fin dal 1947, quando ancora era al potere il Kuomintang. Conosciuta come la “linea dei nove tratti” (ma ci sono diverse traduzioni), indica le pretese della Cina su arcipelaghi, atolli e secche di piccole dimensioni eppure strategicamente ed economicamente vitali per chi se li contende.
Se si facesse fede a quella ripartizione, Pechino si assicurerebbe l’80% di un bacino di grande importanza per lo sfruttamento commerciale e il traffico navale, ben al di là di quanto permette il diritto consuetudinario del mare.
Non sono per nulla rassegnati all’espansionismo cinese Filippine, Vietnam, Malaysia e Brunei, che subiscono periodicamente episodi di intimidazione da parte della Marina del Dragone, com’è accaduto anche di recente. A dare manforte ai Paesi dell’Asean c’è la forza militare degli Stati Uniti, i quali si sono dichiarati contrari a tutte le richieste territoriali del gigante asiatico (e proprio rivale), inserite dentro la più grande partita che, ovviamente, riguarda Taiwan.
C’è poi la contesa con il Giappone nel Mar Cinese Orientale per le isole Senkaku. Anche in quella zona sono frequenti le “incursioni” di mezzi da guerra della Repubblica popolare.
Il governo di Manila ha provato a ricorrere a un foro indipendente sulla base di una Convenzione Onu. Nel 2016, la Corte di arbitrato ha stabilito che «la Cina non ha basi legali per rivendicare diritti storici». La risposta di Xi Jinping fu di rifiutare il verdetto come «infondato». Una reazione che dovrebbe farci riflettere. Il significato che Pechino dà al rispetto dei confini potrebbe infatti essere diverso da quello che a noi pare scontato e condiviso. Soprattutto laddove le suscettibilità nazionalistiche e i simboli hanno ancora forte presa.
Nel trailer del film Barbie compariva per un attimo una mappa che sembrava ricalcare in parte quella dei “nove tratti”. Il Vietnam ha deciso di vietare per questo la proiezione dell’opera acclamata in tutto il mondo, mentre probabilmente nelle stanze della città proibita di Pechino si rideva di soddisfazione.
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