Le regole di Adams e le nostre paure del digitale
venerdì 19 aprile 2019
In un mondo dove tante cose sono dominate dal tifo, a volte, nemmeno il nostro approccio alla tecnologie digitali si salva da questa «moda». Se ci fate caso, molti di quelli che vi circondano affrontano il digitale o con un entusiasmo spesso eccessivo o con un pessimismo a volte esagerato. Douglas Adams, scrittore e grande appassionato di tecnologia (sua è la radio commedia diventata poi romanzo «Guida galattica per autostoppisti») ha sintetizzato il rapporto che ognuno di noi ha con la tecnologia in tre regole: 1) Tutto quello che è al mondo quando nasci è normale e banale ed è semplicemente parte del modo in cui il mondo funziona; 2) Tutto quello che viene inventato dai tuoi 15 ai tuoi 35 anni è nuovo, eccitante e rivoluzionario, e con un po' di fortuna potresti fare carriera usandolo; 3) Tutto quello che viene inventato dopo i tuoi 35 anni è contro l'ordine naturale delle cose (e per alcuni anche l'inizio della fine della civiltà come la conosciamo).
Non sono verità assolute, ma nemmeno provocazioni fini a se stesse. Perché è vero che il nostro entusiasmo o il nostro pessimismo verso la tecnologia digitale spesso è anche legato alla nostra età (non solo anagrafica). Crescendo infatti siamo meno inclini ad accettare le novità che rivoluzionano le nostre vite, ma è altrettanto vero che ciò accade anche perché maturando ne cogliamo anche gli aspetti meno positivi. Da bambini e da ragazzi accettiamo senza farci troppe domande (a volte, nemmeno una) tutto quello che troviamo attorno a noi, e da adolescenti e giovani pensiamo alle novità come ad occasioni «per fare un po' di carriera» o almeno per guadagnare un po'.
Esiste poi un terzo approccio, minoritario. È quello di chi considera la tecnologia, anche quella più complessa, alla pari di un elettrodomestico. Cioè, la avvicina ma ne studia «il libretto di istruzioni» (cosa che gli italiani in generale non fanno quasi mai, preferendo "giocare" con ogni nuovo apparecchio tecnologico, convinti che impareranno a usarlo al meglio schiacciandone i tasti quasi a caso). E al tempo stesso la usa solo per quello che gli serve, senza farla diventare una sorta di divinità in grado di prendere il controllo di larghe fette della sua vita.
So benissimo che non sono discorsi nuovi, ma dobbiamo farceli ciclicamente perché quel mondo digitale che alcuni ritengono ancora «irreale», fa invece ormai parte completamente del nostro mondo «reale». E non solo non se ne andrà fra qualche tempo come fosse una malattia passeggera, ma entrerà sempre di più nelle nostre vite. Oggi ci spaventa (spesso giustamente) l'invadenza dei cellulari. Ma siamo già circondati dal cosiddetto mondo della IOT, cioè dell'«internet delle cose». Che siano assistenti vocali come Alexa, Siri e Google Home (anche Facebook presto lancerà il suo), orologi in grado di farci anche l'elettrocardiogramma (come fa l'ultimo modello dell'iWatch) oppure frigoriferi capaci di fare da soli la spesa, ordinando online per noi i cibi che preferiamo o gli ingredienti per il pranzo di domenica prossima, o ancora i vestiti di nuova generazione che avranno sensori in grado di misurare le prestazioni di ogni nostro organo corporeo, tutte queste cose non solo sono e saranno sempre più collegate tra loro ma riversano e riverseranno sempre più una marea di nostri dati sensibili in gigantesche banche computerizzate. Siamo e saremo sempre più «monitorati» 24 ore su 24. Le telecamere archivieranno ogni nostra azione mentre gli oggetti che ci circondano racconteranno tutto di noi, svelando anche particolari molto privati e sensibili.
Per questo servono regole. E subito. E per questo serve che a crearle siano persone che pensino alla tecnologia come ad «un elettrodomestico al servizio dell'uomo». E non lasciando l'uomo al servizio di un sistema sempre più potente di dati che li usa per fare soldi o per spingerci in direzioni che magari non vorremmo nemmeno prendere.
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