Nel dibattito sull’adeguamento del nostro sistema istituzionale c’è un tema di cui si parla poco e che invece ha una valenza potenzialmente molto significativa per i cittadini. Riguarda le Province, finite in una sorta di limbo tra la bocciatura della riforma Renzi, che ne aveva previsto l’abolizione, e le norme attualmente in vigore che avrebbero dovuto accompagnare la transizione verso il nuovo assetto che era stato prefigurato.
Una “transizione interrotta” come l’ha definita lo stesso Presidente della Repubblica che per la prima volta è intervenuto con un ampio discorso all’assemblea annuale delle Province d’Italia. Una presenza che dice come dal Quirinale si siano percepite la necessità e l’urgenza di uscire da una situazione di «vuoti e incertezze che non possono prolungarsi, rischiando che cittadini e comunità paghino il prezzo di servizi inadeguati, di competenze incerte, di lacune nelle funzioni di indirizzo e di coordinamento».
Qualcosa si è mosso a livello parlamentare.
Nella commissione Affari costituzionali del Senato è all’esame un testo unificato che rappresenta un tentativo di sintesi fra i disegni di legge presentati dai diversi gruppi. L’impressione è che alle forze politiche interessi soprattutto reintrodurre l’elezione diretta dei presidenti e dei consigli, dopo una fase in cui i vertici sono stati eletti da sindaci e consiglieri comunali delle rispettive Province. Tecnicamente un’elezione di “secondo grado”, ineccepibile dal punto di vista democratico perché sindaci e consiglieri sono stati a loro volta eletti dai cittadini.
Ma non c’è dubbio che con il ritorno all’elezione diretta si darebbe alle Province una legittimazione molto più evidente e partecipata. Certo, non occorre particolare malizia per ritenere che nella mente dei partiti questo esito sia anche funzionale a incrementare il personale politico – posti e poltrone, nell’abusato lessico anti-casta – ma la bontà dell’operazione andrà giudicata da quel che le Province ri-riformate saranno messe in grado di realizzare e concretamente realizzeranno.
Mattarella – che all’inizio del mese era intervenuto al Festival delle Regioni e martedì prossimo parlerà all’Anci – non è ovviamente entrato nel merito dell’iter parlamentare, ma ha richiamato in modo tutt’altro che generico gli aspetti di sistema che sono in questione. «La Costituzione – ha sottolineato il Presidente – disegna un’articolazione della Repubblica tra Stato, Regioni, Province, Città metropolitane, Comuni. Non un impianto gerarchico, bensì un governo multi-livello, ispirato ai principi della democrazia e della sussidiarietà. Dove le fondamenta poggiano sull’uguaglianza nelle libertà, nei diritti, nei servizi essenziali, nelle opportunità per i cittadini, qualunque sia il territorio in cui vivono». In questo quadro, oltre al contributo per i progetti del Pnrr, dalle Province può venire un apporto specifico alla coesione del Paese, che richiede «una crescita delle potenzialità di tutti i territori, anche di quelli delle aree interne, delle zone montane, dei piccoli centri».
Mattarella interpreta in questo senso anche la richiesta delle Province di inserire tra i loro compiti fondamentali «la pianificazione dello sviluppo, con il chiaro obiettivo della sostenibilità ambientale e sociale e con l’impegno a far convergere attori privati e pubblici in una rivitalizzazione dei territori oggi più svantaggiati».
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