Insegnanti ed educatori lo sanno da tempo: certe domande dei ragazzi non fanno sconti; vanno subito al punto. Il ragazzo davanti a me avrà 15-16 anni. Mi ha ascoltato parlare di Internet e social network per un'ora e mezza. Ora tocca a lui. Alle domande. Alla domanda. «Qual è la cosa più importante che ha imparato gestendo i social di un quotidiano come Avvenire?».
I miei pensieri corrono veloci. E cominciano a scartare alcune delle cose che ho imparato in questi anni. Cose importanti ma non «la più importante». No, non è importante spiegargli come si usano gli strumenti per gestire e analizzare un social network. E nemmeno raccontargli come ci si rapporta con una comunità complessa e variegata. Scarto anche le «furbizie» tecniche e pratiche imparate. Scarto i corsi ai quali ho partecipato e i tanti libri letti. Finalmente non ho più dubbi. Sono due le cose più importanti che ho imparato. Ed entrambe, a dire la verità, le avevo già imparate da bambino.
La prima cosa che ho imparato – rispondo – è a non avere paura di chiedere scusa. Meglio: quanto sia bello chiedere scusa. Il ragazzo mi guarda un po' stralunato. Provo a spiegarmi. Quando sbagliamo, soprattutto da ragazzi e a volte ancor più da adulti, siamo tentati di nascondere i nostri errori; di mettere sotto il tappeto la polvere. Di nascondere i cocci del vaso rotto con una pallonata. Perché sbagliare ci mette a disagio. E perché il giudizio degli altri ci mette a disagio. Ci fa paura. Pensiamo: oddio, cosa diranno adesso? Cosa penseranno ora di me? Per di più crescendo ci siamo convinti che chiedere scusa ci faccia apparire deboli e meno professionali. Invece, quando chiedi scusa sui social – cioè anche con persone che non ti conoscono o ti conoscono molto superficialmente e quindi potrebbero crocifiggerti al tuo errore – scopri con sorpresa che la tua credibilità non solo non viene scalfita ma aumenta. Ti aspettavi commenti feroci e invece le persone ti rispondono con frasi tipo: «Capita a tutti di sbagliare»; «bravo, solo le persone serie chiedono scusa». E se lo fai come giornalista o addirittura come giornale non cambia nulla. Perché i lettori, anche quelli che di solito commentano in maniera più aggressiva, sono persone e sanno benissimo che chiunque può sbagliare, quello che non sopportano e che li manda su tutte le furie è scoprire che glielo hai nascosto; che hai tentato di fare il furbo. Il ragazzo ha capito. La palla torna a me. La seconda cosa che ho imparato passando ogni giorno svariate ore sui social è a essere più generoso. Altro sguardo interrogativo del mio interlocutore. Mi spiego anche questa volta. Complice il cosiddetto «bias del pavone», tutti noi usiamo spesso i social come un palcoscenico dove ci mettiamo in bella mostra. Pubblichiamo selfie, cioè autoscatti fatti col telefonino, quando siamo in vacanza in posti da urlo, in ristoranti rinomati o con persone famose. Usiamo i social per dare un'immagine di noi che ci faccia apparire belli e vincenti; o almeno importanti. Come giornalisti, poi, siamo tentati di socializzare solo ciò che scriviamo o al massimo quello che scrivono i nostri amici più importanti. Così, senza quasi accorgercene, finiamo per dividere i nostri amici social in quelli di serie A e quelli di serie B. Sforzarsi di essere generosi (o ancor più generosi) non significa dare un contentino a tutti, ma cercare di relazionarsi con tutti. Significa non avere paura di condividere un parere più importante del tuo. Significa commentare con empatia il post di un amico. Significa non stancarsi di correggere fraternamente chi pubblica bufale. Significa non limitarsi a mettere un «like» per «buona creanza» ma partecipare a ciò che fanno gli altri per dare un senso vero a quell'amicizia social che altrimenti resta solo un numero da esibire: ho cento, duecento, cinquecento, tremila, cinquemila amici. Perché il punto non è quanti amici social hai (quello lo lasciamo "pesare" dai venditori di marketing fuffa) ma «cosa te ne fai».
I social, come ho imparato, sono conversazioni. Se non sei disposto ad essere generoso e ad ascoltare davvero gli altri è meglio non starci. Il ragazzo se ne va soddisfatto. Il lettore, se vorrà, me lo dirà sui social o via mail
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