giovedì 21 luglio 2016
Quando al pastore luterano Dietrich Bonhoeffer, che aveva partecipato alla resistenza contro Hitler, fu chiesto come mai lui, pastore, avesse potuto collaborare all'organizzazione di un attentato, rispose: «Se un pazzo, alla guida di un'auto, travolgesse i passanti sulla via principale di Berlino, mio dovere sarebbe non solo di soccorrere i feriti, ma anche di fermare quel pazzo». Tali parole mi sono tornate alla mente di fronte alle agghiaccianti immagini della strage di Nizza. È incredibile come a distanza di settant'anni la parabola hitleriana così delineata da Bonhoeffer sia divenuta cruda realtà. Realtà che accade entro un paese libero, o almeno che si crede tale, mentre è invero costretto entro le maglie di una politica insana, di un panorama socio-culturale gravemente compromesso. Il sogno dell'Europa unita, sta lasciando il passo all'incubo del terrorismo e del delirio di onnipotenza di alcune filosofie edoniste e tecnoscientiste. Questa nostra Europa appare quanto mai simile all'uccello imprigionato tra i rami che ha dipinto Samuel Bak, acuto interprete ebreo del dramma della Shoah. Il volatile, azzurro come la bandiera europea, risulta già precario e fragile per esser fatto da pezzi di legno e cartoni inchiodati l'uno con l'altro, alla bell'e meglio. Al centro del corpo un pezzo di staccionata ricorda prepotentemente le divise di Auschwitz. Il volo di questo improbabile uccello, se c'è stato, è durato poco. Si è incagliato tra i rami di un albero e, per quanto lo sguardo resti orientato al cielo, corpo e ali sono irrimediabilmente intrappolati, mentre le bende che avvolgono i rami lasciano intendere le ferite riportate e la difficoltà a ripartire.Sul network, come sui giornali, si scontrano opinioni differenti: gli speranzosi contro i pessimisti a oltranza; gli uomini che si ostinano a non vedere il pericolo incombente contro quelli che, invece, sono paralizzati dalla paura. Dove sarà la verità? Dov'è la nostra Europa?Né di qua né di là, credo. La speranza vera è nella realtà nuda e cruda, quella bisogna guardare e da lì ripartire per la ripresa. Tutto ciò mi fa pensare a «l'usignolo dell'imperatore» di Hans Christian Andersen. I racconti di questo narratore danese, erano anche frutto del panorama incantevole che si snoda tra la Costa Azzurra e la Riviera ligure, visitata nel 1833. A Sestri levante, dove in un muro della città si leggono le parole a lei dedicate da Andersen, si afferma che la madre di Hans avesse antiche origini liguri. La favola è nota: l'imperatore cinese, che aveva desiderato avere presso di sé un usignolo godendo del suo canto, lo abbandonò in favore di un altro usignolo, tempestato di gemme preziose e dotato di un magnifico carillon. Quest'oggetto frutto di raffinata gioielleria gli parve assai meglio del pennuto che viveva nel suo giardino. Ben presto, però, il canto ripetitivo del carillon si fermò, il meccanismo si era inceppato e l'uccello smise di cantare. L'imperatore si ammalò gravemente e fu allora che rimpianse il vero usignolo, invocandolo tra le lacrime. Il ritorno del volatile risanò il malato riportandolo alla serenità.La favola insegna che i progetti fatti a tavolino, dimentichi della realtà, hanno breve durata e portano alla morte. L'Europa, come il volatile di Bak, è tenuta insieme da una moneta (fragile), da leggi scritte a colpi di martello e chiodi, non reggerà l'urto di fronte a chi, invece, resta tenacemente radicato nella sua storia. Dimenticare le radici giudaico-cristiane, dimenticare soprattutto di difenderle, insegnarle, di educare i figli a partire da questo grande patrimonio, non gioverà all'Europa. Come scrisse Dawson: «Una società che ha perduto la sua religione è destinata presto o tardi a perdere la sua cultura» e, aggiungo io, a perire sotto i colpi impazziti del primo terrorismo di turno.
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