Temo che scandalizzerò qualcuno, ma per onestà, tra le facce per me indimenticabili, devo parlare anche di lui. È un bastardo purissimo, generazioni di bastardi alle spalle. Sembra una volpe, il muso a punta, le orecchie diritte, il mantello rossiccio. Gli occhi neri dolcissimi ti guardano come sapendo molte cose - più di quante ne dovrebbe sapere un cane.
Sedici anni fa, San Giovanni Rotondo. Un servizio su Padre Pio. Un aprile molto freddo, la piazza all’alba spazzata da un vento gelido. Da pochi giorni avevo perso mia madre, camminavo a capo chino. Vedo avanzare nella piazza un cucciolo. Sembra, rosso com’è e con quella gran coda, una volpe. Randagio, morto di fame. Abbiamo preso a girarci attorno. Lui mi guardava, la parte razionale di me mi gridava: non sarai mica matta. Lui però aveva già deciso. Gli allungai un biscotto, mi leccò la mano. Era fatta.
Lo presi in braccio, era tutto ossa. Una volpe in una piazza deserta. «Ma tu sei la volpe del deserto», esclamai. E me lo portai a Milano, 800 chilometri al volante, lui sulle mie ginocchia.
Da sedici anni è la mia ombra. Capite ora perché parlo della faccia di un cane? In questa casa vuota, i figli grandi, lui resta. Morirà, e mi diranno: via, era solo un animale. Mi dispiace per chi non capisce cos’è, un’ombra buona che ti segue, inseparabile, fedele. Non sanno cosa perdono - in tempi di effimeri amori.
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