La voce ritrovata di Grace, sopravvissuta alla pedofilia
giovedì 10 giugno 2021

«Lui chiudeva la porta dell'aula e mi diceva: non fare rumore. Avevo 15 anni, lui 58. Era il mio professore. Questa frase mi ha perseguitata per un decennio. Adesso io dico a tutte le sopravvissute agli abusi sessuali: fate più rumore che potete. La vostra voce, la nostra voce, conta. Parlando, faremo la differenza».

Grace Tame è una 26enne bionda, dai grandi occhi azzurri, dal fisico esile. Quando, lo scorso 1 marzo, ha ricevuto dal primo ministro Scott Morrison l'onorificenza di "Australiano dell'anno", è scoppiata in lacrime e con la voce spezzata ha detto: «Dieci anni fa ero in ospedale, ricoverata per anoressia dopo gli abusi. L'anno scorso ho vinto una maratona. So chi sono: io sono una sopravvissuta». Una sopravvissuta, non una vittima.

Era un'adolescente fragile e vulnerabile, quando venne soggiogata e violentata da un docente del suo liceo, nello Stato australiano della Tasmania. Lui abusò di lei per 6 mesi. Infine Grace, distrutta dalla vergogna, si confidò con un'insegnante. Il pedofilo fu arrestato e poi rilasciato dopo 19 mesi di carcere. Quando uscì, si vantò sui social media di aver avuto una «relazione sentimentale» con una 15enni e aggiunse che dai messaggi ricevuti sembrava che molti uomini lo invidiassero. Un'altra violenza per Grace, alla quale però era negato di parlare pubblicamente a causa dell'Evidence Act del 2001, una legge vigente in Australia solo in Tasmania e nel Territorio del Nord, che, con l'intento di proteggere chi ha subìto violenza sessuale, impedisce che sia diffusa la loro identità e di conseguenza vieta alle vittime di offrire la propria versione dei fatti.

Grace, con l'aiuto dell'attivista e giornalista Nina Funnel, nel 2019 diede vita alla campagna #LetHerSpeak - lasciatela parlare -, che, sull'onda del #MeToo, convinse la Corte Suprema della Tasmania a concedere alla giovane una deroga all'Evidence Act. Grace parlò per la prima volta, spiegò ciò che nessuna vittima aveva mai potuto dire: che l'uomo che aveva abusato di lei quando era una ragazzina, e se ne vantava, aveva usato tattiche da predatore, prima isolandola dalla sua famiglia e dai coetanei, poi annientandone l'autostima e la fiducia negli altri, poi inchiodandola alla sua vergogna. Nell'ottobre 2019, la procuratrice generale della Tasmania, Elise Archer, si disse colpita dal coraggio di Grace e dalla sua testimonianza, in nome e per conto di tante altre bambine, ragazze e donne che finora non avevano potuto uscire allo scoperto, e annunciò che avrebbe lavorato per cambiare la legge. Dall'aprile del 2020 anche le vittime, e non solo gli aguzzini, possono far udire la loro voce. E raccontare la verità.

«Non c'è vergogna nel sopravvivere - ha scandito Grace Tame nel discorso della cerimonia per l'Australiano dell'anno -. La voce che è stata restituita alle sopravvissute aiuta a superare il trauma, a svelare le menzogne. Ad aumentare la consapevolezza nei meccanismi perversi dei pedofili. Non possiamo risolvere il problema se non ne discutiamo apertamente». Poi, rivolgendosi alle altre sopravvissute che hanno supportato la battaglia #LetHerSpeak, ha aggiunto: «È il nostro momento, dobbiamo essere coraggiose. Condividete la vostra verità, la voce è il nostro potere, la nostra voce può cambiare le cose». Grace Tame oggi è una insegnante di yoga, è un'artista e collabora con la Squadra antipedofilia di Los Angeles nel tracciare i profili dei criminali. La sopravvissuta ha ritrovato la sua voce.

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