Grande Spirito la cui voce ascolto nel vento e il cui respiro fa vivere il mondo, ascoltami. Sono uno dei tuoi tanti figli e vengo a te. Sono piccolo e debole, ho bisogno della tua forza e della tua sapienza. Lasciami camminare tra le cose belle e fa che i miei occhi possano ammirare il tramonto rosso e d'oro. Fa che le mie mani possano rispettare ciò che hai creato e le mie orecchie sentire chiaramente il suono della tua voce"
In questo scampolo d'estate, in una domenica che s'affaccia ancora sulle vacanze, con un'ultima corsa dalla città verso i monti o il mare, abbiamo voluto far risuonare alcune righe di un canto al Grande Spirito divino degli Indiani Sioux che hanno popolato " con immagini spesso falsate " i film dell'adolescenza mia e di molti miei lettori. Ora essi sopravvivono nelle riserve americane del Dakota, del Montana e del Nebraska, ma la loro cultura è stata valorizzata, proprio attraverso la loro religiosità. Vorremmo sottolineare innanzitutto l'esaltazione del legame
non tanto con la "natura" quanto piuttosto col "creato".
Infatti il mondo è visto come opera di Dio e in esso è possibile «sentire il suono della sua voce», come diceva anche l'antico Salmista biblico: «I cieli narrano la gloria di Dio». Uscire, quindi, in campagna anche per pregare, lodare, contemplare, comprendendo " come dice più avanti il canto dei Sioux " «ciò che di segreto hai posto in ogni foglia e in ogni roccia». Ma ci sono altri due motivi di riflessione che vorremmo far emergere dal prosieguo di quell'inno. Non è necessario spiegarne i contenuti, basta solo ascoltarne la voce: «Ti chiedo la forza non per primeggiare sugli altri ma per combattere il mio più grande nemico: me stesso. Fa' che io sia sempre pronto a raggiungerti con mani pulite e occhi acuti, così che quando la vita se ne andrà come la luce al tramonto, il mio spirito possa senza vergogna venire a te».
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