Ci sono persone autoritarie, e persone autorevoli. Non sono la stessa cosa. Le prime fondano le loro relazioni sulle norme, sulle convenzioni, sul rispetto assoluto delle regole. Chi sgarra è fuori. Di persone autoritarie ce ne sono tante, li conosciamo tutti, soprattutto in politica. Sono quelli che "c'è un nuovo sceriffo in città", quelli che "adesso la ricreazione è finita", quelli che arrivano a farsi le leggi su misura perché l'importante è il controllo su tutti, che agitano e alimentano spauracchi e minacce. Hanno molti seguaci, queste persone, gente che rinuncia volentieri a pensare in nome del quieto vivere, che delega alle norme, alle convenzioni, la propria vita, che non ama le responsabilità. L'autoritarismo è l'alimento per il populismo: e da qui, storicamente, nascono le dittature.
Le persone autorevoli, al contrario, fondano le loro relazioni sul rispetto. "Vogliono", anzi, la relazione. Sono padri, non paternalisti, amano e danno fiducia invece di imporre e di dettare norme. Danno con generosità, non fanno concessioni. Le leggi esistono sempre, è chiaro, e vanno rispettate comunque. Ma non sono un Moloch, e chi è capace di autorevolezza non se ne fa scudo. Parla all'intelligenza, non alla paura. Non hanno bisogno di seguaci, di una massa che li segua, ma di interlocutori.
E Dio? Dio com'è? E soprattutto, come lo vediamo noi? Autoritario o autorevole? Padre o paternalista? Papa Francesco ha risposto a queste domande dieci giorni fa, commentando un passo della lettera ai Galati di san Paolo. «Ancora oggi – ha detto – molti sono alla ricerca di sicurezze religiose prima che del Dio vivo e vero, concentrandosi su rituali e precetti piuttosto che abbracciare con tutto sé stessi il Dio dell'amore. E questa è la tentazione dei nuovi fondamentalisti, di coloro ai quali sembra che la strada da percorrere faccia paura e non vanno avanti ma indietro perché si sentono più sicuri: cercano la sicurezza di Dio e non il Dio della sicurezza. Per questo Paolo chiede ai Galati di ritornare all'essenziale, a Dio che ci dà la vita in Cristo crocifisso».
Un insegnamento, ha aggiunto Bergoglio, che ci mette davanti a una «bella sfida» che ci coinvolge non solo personalmente ma anche come comunità. A volte, infatti, «chi si accosta alla Chiesa ha l'impressione di trovarsi davanti a una fitta mole di comandi e precetti: ma no, questo non è la Chiesa! Questo può essere qualsiasi associazione. Ma, in realtà, non si può cogliere la bellezza della fede in Gesù Cristo partendo da troppi comandamenti e da una visione morale che, sviluppandosi in molti rivoli, può far dimenticare l'originaria fecondità dell'amore, nutrito di preghiera che dona la pace e di gioiosa testimonianza. Allo stesso modo, la vita dello Spirito che si esprime nei Sacramenti non può essere soffocata da una burocrazia che impedisce di accedere alla grazia dello Spirito, autore della conversione del cuore. E quante volte noi stessi, preti o vescovi, facciamo tanta burocrazia per dare un Sacramento, per accogliere la gente, che di conseguenza dice: "No, questo non mi piace", e se ne va, e non vede in noi, tante volte, la forza dello Spirito che rigenera, che ci fa nuovi. Abbiamo dunque la grande responsabilità di annunciare Cristo crocifisso e risorto animati dal soffio dello Spirito d'amore». Perché è «solo questo amore che possiede la forza di attirare e cambiare il cuore dell'uomo».
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