Centoquaranta anni fa - era il 1884 - più o meno di questi tempi, usciva sulla “Nuova Arena” di Verona un romanzo a puntate che, una vita dopo, tanti ragazzi avrebbero stampato nella loro fantasia di potenziali avventurieri. Si chiamava “Le Tigri di Mompracem”, e il suo autore era Emilio Salgari. Un genio che ha costruito meravigliose storie di pirati, architettando intrecci mozzafiato, tra giungle esotiche misteriose, bestie feroci e paesi tropicali, senza mai muoversi da casa sua, a Torino. Scrivere è come viaggiare ma senza la seccatura di fare le valigie, diceva. Molti tra i più giovani probabilmente non hanno mai frequentato le sue pagine. Non sanno che inventò̀ personaggi come Sandokan, Il Corsaro Nero, Tremal Naik. E che la forza dell’immaginazione è̀ una virtù meravigliosa. Anche se Salgari non domò̀ mai la sua tigre interiore e morì̀ suicida, ferendosi come un samurai e lasciando un messaggio ai suoi editori: “Vi saluto spezzando la penna”. Oggi la penna si usa pochissimo. Ne conservo una, azzurra. Non scrive più, ma la tengo per ricordarmi di un giorno felice. E per non dimenticare mai la fatica di una frase messa giù con l’inchiostro anziché con la tastiera. Che sul foglio si muove, ha un altro significato, una vita tutta sua, come un’impronta digitale che non si cancella mai.
© riproduzione riservata
© Riproduzione riservata