La vitivinicoltura nazionale non s’arrende (ci mancherebbe) e, anzi, rilancia soprattutto in termini di innovazione. È uno dei messaggi, forse il più importante, che arriva dall’edizione appena conclusa di Vinitaly. E d’altra parte non potrebbe che essere così per un settore che rappresenta un giro d’affari miliardario oltre che essere uno degli alfieri del tanto elogiato Made in Italy nel mondo. Al di là della retorica, tuttavia, la vitalità della vitivinicoltura indica la piena coscienza delle difficoltà che occorre affrontare e la necessità di farlo presto e bene. A fornire un indicatore importante è stato uno studio sull’innovazione nel settore vitivinicolo, realizzato da Ismea nell’ambito delle iniziative della Rete rurale nazionale della Politica agricola comune. Nonostante le incertezze del quadro economico e geopolitico mondiale, tra crisi sanitarie e climatiche, shock energetico, inflazione ed extra costi, tre imprese su quattro hanno messo mano al portafoglio nel quinquennio 2017-2021 per rinnovare le strutture e ammodernare impianti e processi, dovendo però rinunciare, il più delle volte, a una parte delle iniziative programmate. Ma una percentuale ancora maggiore (il 78%) si è dichiarata propensa a investire nei prossimi 5 anni, nonostante la situazione resti piuttosto critica sia livello locale che internazionale. Certo, gli ostacoli non mancano. Tra questi, la ridotta dimensione delle imprese (45%), l’incertezza sui benefici degli investimenti (25%), il quadro di instabilità del mercato (24%), le difficoltà di accesso al credito (22%) e ai fondi comunitari (22%) e l’onerosità degli investimenti (22%). Eppure il vino italiano pare non aver rinunciato ad investire soprattutto in tecnologia ma anche in organizzazione. Che significano poi, a ben vedere, maggiore competitività e quindi più alta capacità di esplorare nuovi mercati e consolidare quelli attuali. Tutto con alcuni capisaldi. Tra le innovazioni che orienteranno gli investimenti nel prossimo futuro, sottolinea Ismea, c’è spazio per la genetica, con lo sviluppo di nuove varietà resistenti e le Tecniche di evoluzione assistita in campo (Tea). Alto anche l’interesse per la sensoristica avanzata, con l’Internet of Things (IoT) già attualmente in uso. Emerge poi l’interesse a investire in soluzioni di intelligenza artificiale da impiegare nei processi produttivi aziendali e in campo,
per lo studio e l’analisi dei dati in ottica predittiva e di riduzione degli sprechi. Tutto per difendere un comparto che davvero vale miliardi. Stando a Nomisma e Federvini la filiera vini, spiriti e aceti conta oltre 2.300 imprese (38.000 considerando anche quelle agricole di trasformazione) per 21,5 miliardi di euro di fatturato diretto e 10 miliardi di vendite all’estero. Altrettanto rilevanti i valori sotto il profilo occupazionale: a fronte di 81 mila lavoratori direttamente occupati dalle imprese dei tre settori, grazie ad un effetto moltiplicatore pari a 5,8, se ne attivano oltre 460 mila nell’intero sistema economico nazionale che corrispondono a quasi il 2% del numero complessivo di lavoratori in Italia.
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