Quando pensiamo al mondo del digitale, ci viene facile guardare a ciò che accade nella Silicon Valley dove albergano colossi come Apple, Facebook e Google. A due ore di macchina di distanza da lì, scendendo verso Sud, a metà strada tra Los Angeles e San Francisco, c'è San Luis Obispo. Circondata dalle colline e da un paio di piccoli canyon, ospita il Politecnico della California. Niente a che vedere con prestigiosi atenei californiani come Berkeley o il California Institute of Technology. Eppure è qui che, ben diciotto anni fa, due studenti dell'Oregon, Kyle Wiens e Luke Soules, diedero vita a quella che oggi è una piccola grande rivoluzione. Fedeli al motto dell'Università, «impara facendo», una sera tentarono di aggiustare il loro computer Apple che si era rotto. Senza istruzioni a disposizione, fecero quello che, almeno una volta, abbiamo fatto tutti. Armati di cacciavite cominciarono a trafficare sul pc, andando un po' a casaccio. Dopo essere riusciti a ripararlo, Luke e Kyle, pensarono che era una follia che non esistesse un manuale per riparare quel pc. E che fosse così difficile trovare i pezzi di ricambio. In pochi mesi nacque iFixit, un portale dove chiunque può caricare istruzioni su come riparare qualsiasi cosa (da un iPhone a un tostapane), migliorare manuali esistenti e scambiare gratis consigli. L'anno scorso iFixit – la cui filosofià è «insegniamo al mondo ad aggiustare qualsiasi cosa» – ha aiutato quasi 100milioni di persone a riparare un apparecchio. E così facendo, oltre che fatturare qualche decina di milioni di dollari con il suo negozio online dove vende pezzi di ricambio, ha dato forza a un movimento che sta prendendo sempre più piede. Quello di coloro che sono stufi di sprecare a causa di un sistema che tende a farci cambiare gli oggetti (soprattutto elettronici ma non solo) appena hanno anche solo un piccolo guasto. Le frasi che ci dicono le conosciamo bene: «non ne vale la pena»; oppure: «costa di più ripararlo che acquistarlo». E pazienza se così facendo sprechiamo soldi e aumentiamo a dismisura la spazzatura elettronica che finisce poi in enormi discariche soprattutto in Africa e in India. Dobbiamo acquistare, acquistare e acquistare. Altrimenti si ferma tutto. O almeno così ci fanno credere. «Quando prendi un telefono, un registratore o qualsiasi altro apparecchio – ha spiegato Kyle Wiens, uno dei fondatori di iFixit – lo smonti, lo studi e riesci a ripararlo è come se un interruttore si accendesse nel tuo cervello. Non sei più solo un consumatore, ma una persona che conosce meglio il valore delle cose».
Vista da qui sembra una piccola cosa. Una goccia nel mare. Ma dallo scorso primo gennaio qualcosa di importante si sta muovendo anche in Europa. La Francia, primo Paese al mondo, ha varato una legge per combattere gli sprechi e l'obsolescenza programmata («è una strategia volta a definire il ciclo vitale di un prodotto in modo da limitarne la durata a un periodo prefissato») e da allora obbliga le aziende a indicare il «grado di riparabilità» dei loro prodotti.
Se il resto d'Europa la seguisse, nel giro di pochi anni potremmo assistere ad una vera rivoluzione. Al fatto, cioè, che la facilità o meno di riparare un oggetto diventasse una leva al suo acquisto, dando così sempre più spazio alla consapevolezza degli acquirenti e all'arrivo sui mercati di oggetti più semplici da riparare e dalle vite più lunghe.
Dobbiamo solo volerlo. Innanzitutto la politica e poi noi acquirenti. Perché se è vero che è appagante avere tra le mani l'ultima novità elettronica è altrettanto se non più esaltante scoprire che possiamo imparare a ripararla o a farla riparare a prezzi modici. Ne guadagnerebbe il nostro portafoglio ma anche e soprattutto l'ambiente. In fondo, la «rivoluzione verde» passa anche da queste cose.
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