Scriveva Gilbert K. Chesterton che, per quanto necessari i preti, per ricordarci che dobbiamo morire, sono necessari anche i poeti, per ricordarci che non siamo ancora morti. E se servono - aggiungo, nano sulle spalle di giganti - preti per spiegarci la vita di Gesù, servono ancor di più poeti che ci possano aiutare a capirla veramente.
Nathalie Nothomb, scrittrice francese molto nota, ha scritto di recente un testo che è la riscrittura della passione di Cristo, Sete (Voland). Un libro scarno, dal linguaggio rarefatto, in cui l'autrice si immedesima nelle ultime ore di Gesù. Il titolo allude infatti al bisogno fisico di Cristo sulla croce, quella «sete» che egli ha provato in maniera così radicale, sete fisica e sete spirituale, perché assetato di acqua e assetato di vicinanza di un Padre che sentiva lontano.
Nothomb ci restituisce in queste pagine un Cristo umanissimo, umano così umano che dobbiamo solo ringraziarla: «Non lo ripeterò mai abbastanza; avere un corpo è quanto di più bello possa mai capitare», dice Gesù la vigilia della sua passione. Per poi aggiungere: «Le gioie più grandi della vita le ho conosciute con il corpo. Anche i miracoli li ho compiuti con il corpo». Pensiamoci quando ascoltiamo i cantori del post-umano che profetizzano di liberarci dal nostro corpo!
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