È vivissima la mobilitazione che i siti, i blog e i social network che frequento – appassionati di Vangelo e di Chiesa – stanno vivendo in questi giorni intorno al caso di Charlie Gard, il bimbo di dieci mesi gravemente malato al quale i medici, contro il parere dei genitori, sono stati autorizzati – da ultimo dalla Corte europea dei diritti dell'uomo – a sospendere l'assistenza sanitaria. Ciò che gli procurerà la morte.
Sulla vicenda in sé non aggiungo dettagli, giacché Avvenire la sta seguendo con ampiezza e profondità. Richiamo solamente la definizione che, con il pensiero rivolto anche (ma non solo) ai genitori e ai familiari, i vescovi cattolici d'Inghilterra e Galles hanno dato: una situazione realmente “heartrending”, che strappa il cuore. Mi pare questa infatti la lunghezza d'onda sulla quale sono sintonizzati i commenti, le sottoscrizioni, le catene di preghiera e gli appelli. Accorato quello, rivolto a Papa Francesco, firmato da due coppie di genitori e partito dalla pagina Facebook di una delle due mamme, Gemma Faggioli: “Tra poco uno dei nostri figli morirà”.
Vorrei poter qualificare tale mobilitazione come unanime, e dico che non ne siamo lontani. Certamente la sua misura è molto larga, specie tra i soldati semplici dell'opinione pubblica ecclesiale (onesti al punto di ritirare qualche giudizio affrettato dopo essere stati portati a constatarne l'infondatezza: ciò che sui social network non succede tutti i giorni). Questa mobilitazione dunque sta andando, una volta tanto, oltre le recinzioni in cui spesso ci chiudiamo con la motivazione di non volerci prestare alle strumentalizzazioni dell'“altra parte”. Sarà perché il caso di Charlie Gard è ancora, almeno agli occhi di un cristiano, di quelli che non hanno bisogno di spiegazioni, che non lasciano spazio ai distinguo, che non mostrano zone grigie.
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