venerdì 20 marzo 2015
​Un recente romanzo edito da Bompiani, L’anonima fine di Radice Quadrata, di uno scrittore alla sua terza prova impegnativa, racconta gli adolescenti, i liceali italiani di oggi, in particolare milanesi e lombardi, con una partecipazione invero rare. Alessandro Mari è autore di due ambiziosi romanzi – Troppo umana speranza, storia di giovani ardimentosi risorgimentali, vero e proprio romanzo storico ma mosso da un’adesione tutta giovanile alle loro storie, e Gli alberi hanno il tuo nome, dove il tempo di san Francesco era messo a confronto col nostro, ancora in spirito di gioventù. L’anonima fine… è invece tutto calato nel presente, e narra il mondo dei licei con una credibilità che viene all’autore dalla loro assidua frequentazione, anche se non come insegnante. Racconta, in breve, con straordinaria capacità di intuizione e mimesi, di una sedicenne intrigata da un compagno di classe scontroso e solitario, che ha reagito a un suo sfottò definendola «una radice quadrata senza il numero dentro». Sofia, la protagonista, chiamerà il giovane Radice Quadrata, e ne cercherà il segreto, il mistero – unico tra i suoi coetanei che sembra nasconderne uno. Il modello lontano di questo giovane è Il gran Meaulnes di Alain-Fournier, amatissimo da più generazioni, un gioiello che non mi sembra si legga ancora molto, soppiantato dai tanti giovani Holden venuti dopo nel corso del Novecento. Anche se mi è parso a tratti prolisso, il romanzo di Mari è un’ottima descrizione di un certo mondo adolescente, quello tutto sommato privilegiato anche se assai meno di un tempo, dei licei, e che una volta avremmo definito borghese o degli strati più sicuri del loro status di una piccola borghesia diventata nel frattempo classe dominante e quasi unica. È credibile, simpatetico, partecipe. Ma anche se il climaxdel romanzo è una quasi- tragedia (il crollo di un soffitto in una specie di teatro-aula-magna pieno di studenti), è come se gli mancasse qualcosa. Tento di dire cosa. La presenza di un contesto più vasto – che c’è, e che nemmeno i licei milanesi possono ignorare, e che è "globale" e a che me pare tragicamente collettivo, riguardante davvero tutti. E la tensione che questo non può non provocare nell’intimo di ciascuno – anche se ben nascosta o camuffata –, una insicurezza che ormai riguarda davvero tutti. Alain-Fournier scrisse il suo Meaulnes a metà dei vent’anni, nel 1913, di guerra ancora non si parlava, ma morì tra i primi al fronte, nel 1914. Nel 1923, l’anno della sua morte, uscì del ventenne Radiguet Il diavolo in corpo, storia crudele di giovani già dentro la guerra. Sono ahimé un pessimista. Chi narra i giovani di oggi dovrebbe tener conto delle minacce che li attorniano, e di una crisi di valori che non è meno grave di quella vissuta dai poveri amanti di Radiguet. Mari ha la sensibilità e il talento per poterlo fare. Ce n’è bisogno
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