Leopardi romantico o classico? Credevo che la querelle fosse superata o avesse raggiunto un definitivo punto di equilibrio. Il libro che Pier Vincenzo Mengaldo pubblica ora mostra fin dal titolo, Leopardi antiromantico (Il Mulino), che la discussione è aperta. Il volume contiene dieci saggi, tutti analitici di forme e testi singoli, salvo il primo, che argomenta la tesi dell'antiromanticismo leopardiano e che contiene vaste implicazioni di poetica al di là di Leopardi.In estrema sintesi: i romantici europei, soprattutto tedeschi, ma anche inglesi e francesi, erano per lo più idealisti e spiritualisti. Leopardi resta invece filosoficamente un illuminista e un materialista (secondo alcuni, per esempio Franco Brioschi, un empirista particolarmente affine a David Hume). Tale filosofia, tale stile. Dietro ogni stile c'è una gnoseologia, un'etica, una metafisica o antimetafisica. Perciò, dice Mengaldo, «lo stile sobrio e casto» leopardiano «sta al materialismo come lo stile diffuso e accumulativo dei romantici, che ha sempre bisogno di dire qualche parola di più, sta allo spiritualismo».Gli argomenti di Mengaldo sono prevalentemente stilistici, poi di gusto e ideologici. Il Discorso giovanile sulla poesia romantica dice già moltissimo: è un netto e combattivo rifiuto. In Leopardi non c'è il gusto dell'esotico (ma l'Islanda? e l'Asia?). Non c'è una valutazione positiva del Medioevo, tipica del romanticismo. Non c'è la fede nella possibilità di far rivivere la Grecia antica. Nessun culto del magico, del fantastico e del satanico. Non c'è una filosofia o mistica dell'Assoluto. In Leopardi io e mondo sono distinti, mentre i romantici soprattutto tedeschi puntano alla sintesi di io e non-io, ingigantendo i poteri della soggettività e idealizzando la Natura.Insomma, Leopardi non preannuncia la lirica moderna di tipo simbolistico. Preannuncia semmai le eccezioni, le deviazioni e i successivi superamenti: Hardy, Machado, Saba, Brecht, Auden, Larkin. Così, partendo da Leopardi, Mengaldo fa la sua scelta: per una lirica che non svaluta né distrugge la razionalità.
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