La prudenza e le altre virtù che servono per stare sui social
venerdì 28 ottobre 2016
Proseguendo in un paziente apostolato volto ad assolvere i social network da alcune colpe e responsabilità che non sono le loro, ma le nostre (visto che scegliamo di usarli così e non diversamente), Bruno Mastroianni spende nel suo ultimo post ( tinyurl.com/hudan2s ) una parola antica: virtù. Lo fa a partire dal dato della litigiosità digitale – che è preoccupante: «una bomba a orologeria sociale» – e dalla palese impossibilità di riprodurre sul web i modelli gerarchici che regolavano «lo scenario di comunicazione precedente, in cui c'era qualcuno – i giornalisti preposti e gli addetti ai lavori – a dover scegliere per tutti gli altri di cosa si parlava e come». Solo con dei comportamenti virtuosi, cioè scegliendo di «fare il bene» di volta in volta, «commento dopo commento, tentando, provando, spesso fallendo», usciremo dalla palestra del confronto che i social rappresentano avendo imparato qualcosa.
Ed ecco le virtù che egli elenca: umiltà di ammettere quando si sbaglia; pazienza nell'evitare gli alterchi, che non portano a nulla; temperanza nel non parlare troppo di noi anche quando le circostanze ce lo consentirebbero; fortezza per non soccombere a chi ci viene contro; giustizia di dire le cose come stanno perché si conoscono; sincerità (io dico onestà) che impedisce di diffondere informazioni incerte.
Ancora una volta, dunque, si conferma che l'ambiente digitale non è meno bisognoso della testimonianza dei cristiani di quanto lo siano le altre dimensioni del vivere sociale. Infatti, anche se il post non lo dice, queste sono tutte virtù familiari a chi attinge al Vangelo e all'insegnamento della Chiesa l'ispirazione su come stare al mondo. Tre di esse sono addirittura nel novero delle “virtù cardinali”, assieme alla prudenza, che manca nell'elenco ma che, consistendo nel «discernere, in ogni circostanza, il nostro vero bene e a scegliere i mezzi adeguati per attuarlo», guida, evidentemente anche sui social, «le altre virtù, indicando loro regola e misura». Lo dice il Catechismo della Chiesa cattolica.
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