«Signore, insegnaci a pregare». La domanda che, nel Vangelo di Luca, uno dei discepoli rivolge a Gesù, è la stessa domanda che ogni credente dovrebbe fare al Signore. Insegnami a pregare. In realtà, invece, generalmente nessuno la fa. La preghiera così a volte riduce a una formula piatta da ripetere a memoria, senza nessuna intonazione, senza niente che la faccia diversa dal un menù, senza anima. Anche quando preghiamo per chiedere qualcosa, la nostra rischia di diventare un'invocazione quasi impersonale, più figlia della superstizione che della fede, dell'ansia di entrare in relazione con Dio. Non è insomma quella preghiera che, come ha detto Francesco nella prima udienza generale di marzo, «grazie a Gesù Cristo, ci spalanca alla Trinità – al Padre, al Figlio e allo Spirito – al mare immenso di Dio che è Amore», ma tutt'altro.
La nostra insomma corre il pericolo di essere una preghiera "zoppa", perché la verità è che non sappiamo pregare veramente, non sappiamo «quali parole, quali sentimenti e quali linguaggi» siano appropriati. Così quella domanda, «Signore, nsegnami a pregare», è in fondo la prima preghiera che dovrebbe uscire dal cuore di ogni credente. Una domanda nella quale «c'è tutto il brancolamento dell'uomo, i suoi ripetuti tentativi, spesso falliti, di rivolgersi al Creatore». E, ha aggiunto Francesco, «dialogare con Dio è una grazia: noi non ne siamo degni, non abbiamo alcun diritto da accampare, noi "zoppichiamo" con ogni parola e ogni pensiero... Però Gesù è la porta che ci apre a questo dialogo con Dio». E perché l'uomo dovrebbe essere amato da Dio? «Non ci sono ragioni evidenti – ha spiegato Bergoglio – non c'è proporzione... Tanto è vero che in buona parte delle mitologie non è contemplato il caso di un dio che si preoccupi delle vicende umane; anzi, esse sono fastidiose e noiose, del tutto trascurabili. Ricordiamo la frase di Dio al Suo popolo, ripetuta nel Deuteronomio: "Pensa, quale popolo ha i suoi dei vicini a sé, come voi avete Me vicino a voi?". Questa vicinanza di Dio è la rivelazione! Alcuni filosofi dicono che Dio può solo pensare a sé stesso. Semmai siamo noi umani che cerchiamo di imbonire la divinità e di risultare gradevoli ai suoi occhi. Di qui il dovere di "religione", con il corteo di sacrifici e di devozioni da offrire in continuazione per ingraziarsi un Dio muto, un Dio indifferente. Non c'è dialogo. Solo è stato Gesù, solo è stata la rivelazione di Dio prima di Gesù a Mosè, quando Dio si è presentato; solo è stata la Bibbia ad aprirci il cammino del dialogo con Dio. Ricordiamo: "Quale popolo ha i suoi dei vicini sé come tu hai Me vicino a te?". Questa vicinanza di Dio che ci apre al dialogo con Lui».
La realtà è che un Dio che ama l'uomo «noi non avremmo mai avuto il coraggio di crederlo se non avessimo conosciuto Gesù. La conoscenza di Gesù ci ha fatto capire questo, ci ha rivelato questo. È lo scandalo che troviamo scolpito nella parabola del padre misericordioso, o in quella del pastore che va in cerca della pecora perduta". Cose che "prima" noi uomini
non avremmo neppure potuto concepire "se non avessimo incontrato Gesù. Quale Dio è disposto a morire per gli uomini? Quale Dio ama sempre e pazientemente, senza la pretesa di essere riamato? Quale Dio accetta la tremenda mancanza di riconoscenza di un figlio che gli chiede in anticipo l'eredità e se ne va via di casa sperperando tutto?». Solo il Padre è capace di questo.
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