«Accetto la tua fede, Charles. Adesso la capisco, perché io ho fede in Will. Perché sceglierò di credere per tutto il resto della mia vita che possiamo aiutarlo, e che lui ci ama, alla sua maniera. Se non lo faccio, impazzirò. Adesso capisco cosa ti dà la fede in Dio – cosa dà a tutti coloro che credono. Ne vale la pena, Charles».
Chi parla è Lily, la moglie (atea) di Charles Barrett, un predicatore presbiteriano: il loro figlioletto, Will, è autistico, quando di questa malattia poco o nulla si sapeva. Lily scopre cosa sia la fede in Dio del marito vivendo la sua relazione di affidamento e amore verso il figlioletto malato di un male che non si sa cosa sia. E in quel dialogo che funge da climax al romanzo Amatissimi (Fazi) di Cara Wall, in cui i temi della domanda religiosa e l’indagine sul male si rincorrono, Lily, la moglie che non crede, riconosce al marito credente la forza dell’affidarsi: «Tu hai me, i tuoi figli, e stiamo facendo dei progressi, eppure non sei felice. Ti manca qualcosa. Voglio darti qualcosa di altrettanto solido della casa che tu hai dato a me. E l’unica cosa che mi viene in mente è Dio. Vorrei poter credere anch’io. Vorrei poter credere insieme a te. Vorrei poter condividere la mia fede con te. Pregherò con te. Lascerò che tu preghi per me. Se vuoi. Non ho fatto altro che costruirmi barricate intorno, come se la preghiera volesse assalirmi. Ma non lo farà; la preghiera è te».
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