La nostra vita spesso procede arida, vuota e triste. Le manca la musica trasparente della speranza. Dove se n'è fuggita la nostra gioia? Le ragioni profonde di tanta devitalizzazione vanno cercate nel luogo giusto. Ho un'amica che in proposito ama ripetere una battuta: noi mettiamo un gomitolo di lana in una gabbia e stiamo lì ad attendere che si metta a cantare. La gioia, come possibilità, è sempre più vicina alla nostra vita di quanto non supponiamo, seduta alla nostra porta anche quando non la degniamo di uno sguardo. Quello che non possiamo, è far dipendere la nostra gioia da ciò che non ha la possibilità di accadere: che un gomitolo di lana diventi uccellino. La gioia è certamente un dono, ma scaturisce da un realismo maturo e vigile. Chi vive nella gioia testimonia, per esempio, di una capacità di curare le piccole cose, sapendo che esse ci danno la misura di quelle grandi. E impara a non disperare dell'oscurità, perché sa che c'è un chiarore che cresce nella notte, e che finirà per vincerla. Così, per chi abbia occhi per vedere, ogni nuovo giorno è un invito ad assaporare la gioia. Procediamo lamentosi, insoddisfatti, pensando di dover sobbarcarci il tremendo peso del mondo, quando basta un sorriso, anche fragile, per renderci prossimi, per sbloccare un'impasse, trasmettere l'affetto che in altri modi non può circolare! La piccola porzione di gioia che ci rimane è sufficiente a sostenere una vita intera.
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