Ricordo che da giovane ero diritto. Non accettavo compromessi, disegnavo un mondo ideale dove non c’era posto per le mezze stagioni, le bevande tiepide, i colori sfumati, le persone più o meno. Poi gli anni ti cambiano. La vedi meglio la vita se non la guardi proprio in faccia: una cosa che vale anche per la verità.
E sono diventato rospo. Spiego. Ho letto da qualche parte che il rospo, più e meglio di altri esseri viventi, ha la capacità di adattarsi all’ambiente in cui si trova. Qualcuno ha provato a metterlo in una pentola d’acqua e ad accendere il fuoco sotto. Il rospo non salta fuori subito quando l’acqua si scalda. Resta immobile e resiste. Usa tutte le sue energie per adattarsi alla temperatura, e quando non ce la fa più e il calore diventa insopportabile, ormai è troppo tardi. Ha già sprecato tutta la sua forza e non riesce più ad uscire dalla pentola. Finisce male, insomma. Ma non è questo il punto. Si diventa rospo per difendersi, si media, si sopporta: c’è la consapevolezza diffusa che dibattersi poco e conciliare molto, aiuti a durare di più. Lo spirito di adattamento non è codardia ma la nuova virtù dei forti, si sta nel mezzo perché gli estremi urtano contro gli angoli. E quasi sempre sono loro a finire male. Evviva il rospo allora: non sarà bello, ma se non sta in una pentola ma in uno stagno può sempre sperare di diventare un principe.
© riproduzione riservata
© Riproduzione riservata