Chi c'era probabilmente lo ricorda. Tra il 1979 e il 1986, la paura che potesse scoppiare l'apocalisse nucleare non era tanto legata al "se", ma al "quando". Con la crisi degli euromissili, con l'Armata Rossa sempre più impantanata in Afghanistan e con l'economia dell'Urss all'angolo nel tentativo di tenere il passo del riarmo degli Stati Uniti, la domanda che ci si poneva era solo chi avrebbe cominciato, se Mosca prima di affogare nei suoi errori, o Washington per dare il colpo di grazia al comunismo. Erano gli anni cupi di Breznev, Andropov, di Cernienko. Poi arrivò Gorbaciov, e la firma nel 1987 del trattato sui missili a medio raggio (gli euromissili, appunto), con il contemporaneo decollo di perestroika e glasnost, ossia della politica di riforme e trasparenza che avrebbe segnato gli ultimi anni dell'Urss, e il mondo tirò un sospiro di sollievo.
La cronaca di queste ultime settimane di guerra tra Russia e Ucraina smentisce chi diceva che quell'incubo fosse scongiurato per sempre. E di giorno in giorno aumenta la preoccupazione per quel che potrebbe fare Putin se, fallito già nella prima settimana di conflitto il suo piano di aggressione, l'Ucraina dovesse diventare un nuovo Afghanistan. Userebbe o no la bomba atomica? E nel caso, quale sarebbe la reazione del mondo? Gli Stati Uniti potrebbero decidere di usare le proprie armi atomiche in via preventiva? Al netto delle troppe sciocchezze che si sentono nei salotti televisivi, e dei capelli spaccati in quattro da analisti più o meno improvvisati, sono queste le domande che urgono in questo momento, poste da questa guerra «crudele e insensata», come l'ha definita Papa Francesco nel suo messaggio del giorno di Pasqua.
Ogni guerra è crudele e insensata, ovunque muoia qualcuno, uomo o donna che sia, soldati o civili, perché i morti sono tutti uguali. Per questo bisogna dire "no" a tutte le guerre, anche a quelle che ci siamo dimenticati, e il Papa le ha ricordate tutte. Bisogna abolirle. Una volta per tutte. E una volta per tutte «si scelga la pace. Si smetta di mostrare i muscoli mentre la gente soffre. Per favore, per favore: non abituiamoci alla guerra, impegniamoci tutti a chiedere a gran voce la pace, dai balconi e per le strade! Pace!».
Nel 1995 il premio Nobel per la Pace fu assegnato alla Conferenza di Pugwash per la scienza e gli interessi del mondo, e al suo presidente Józef Rotblat. Durante la Seconda guerra mondiale Rotblat era stato l'unico degli scienziati coinvolti nel "Progetto Manhattan" (finalizzato a costruire la bomba atomica) ad abbandonare per motivi morali. Quarantuno anni prima del Nobel, nel 1954, Rotblat era stato l'anima dell'iniziativa che sarebbe sfociata l'anno successivo nell'appello passato alla storia con il nome di "Manifesto di Russell-Einstein", dal nome dei più illustri degli undici firmatari, il filosofo Bertrand Russell e il fisico Albert Einstein. Manifesto che avrebbe portato alla Conferenza di Pogwash e che denunciava i rischi connessi alla esistenza di ordigni nucleari in grado di cancellare gli esseri umani dalla faccia della terra. Una denuncia che Papa Francesco ha fatto propria nel messaggio di Pasqua: «Chi ha la responsabilità delle Nazioni ascolti il grido di pace della gente. Ascolti quella inquietante domanda posta dagli scienziati quasi settant'anni fa: "Metteremo fine al genere umano, o l'umanità saprà rinunciare alla guerra?"». Oggi, alla pace, non c'è alternativa. Ma lo capiremo mai?
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