giovedì 11 agosto 2011
XX domenica
Tempo ordinario - Anno A

(...) Ed ecco una donna Cananea (...) si mise a gridare: «Pietà di me, Signore, figlio di Davide! Mia figlia è molto tormentata da un demonio». (..) Egli rispose: «Non sono stato mandato se non alle pecore perdute della casa d'Israele». Ma quella si avvicinò e si prostrò dinanzi a lui, dicendo: «Signore, aiutami!». Ed egli rispose: «Non è bene prendere il pane dei figli e gettarlo ai cagnolini». «È vero, Signore – disse la donna –, eppure i cagnolini mangiano le briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni». Allora Gesù le replicò: «Donna, grande è la tua fede! Avvenga per te come desideri». E da quell'istante sua figlia fu guarita.

Gesù, uomo di incontri. Incontri che trasformano. E la svolta avviene attorno all'immagine dei cagnolini e delle briciole. Gesù dapprima si sottrae: Non è bene prendere il pane dei figli e gettarlo ai cagnolini. Nella mentalità comune dei giudei i pagani erano considerati cani. E poi la risposta geniale della madre Cananea: è vero, Signore, eppure i cagnolini mangiano le briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni. La donna sembra dire «fai delle briciole di miracolo, briciole di guarigione anche per noi, gli ultimi». Qualcosa commuove Gesù e ne cambia l'atteggiamento: è la convinzione assoluta di quella donna che tutti, anche i pagani sono amati, che per Dio non esistono figli e no; è l'umiltà di chi va in cerca solo di briciole, di pane perduto.
Donna, grande è la tua fede! Non frequenta la sinagoga, invoca altri dèi, Baal e Astarte, ma per Gesù è donna di grande fede. Non tanto o non solo per il suo indomito amore di madre, che non si arrende ai silenzi di Gesù, al suo atteggiamento prima gelido («non le rivolse nemmeno una parola») e poi ruvido. Lo farebbe qualsiasi madre! La grande fede della donna non sta in formule o dichiarazioni, ma in una convinzione profonda, che la incalza: Dio è più attento alla vita e al dolore dei suoi figli che non alla fede che professano.
Non ha la fede dei teologi, ma quella delle madri che soffrono per la carne della loro carne: esse conoscono Dio dal di dentro, lo sentono pulsare nel profondo delle loro piaghe, all'unisono con il loro cuore di madre. Credono che il diritto supremo davanti a Dio è dato dalla sofferenza e dal bisogno, non dalla razza o dalla religione. E che questo diritto appartiene a tutti i figli di Dio, che sono tutti uguali, giudei e fenici, credenti e pagani, sotto il cielo di Tiro o sotto quello di Nazaret. E Gesù cambia, si modificano l'ampiezza della sua missione e il volto del Padre. Una donna pagana «converte» Gesù; lo porta ad accogliere come figli i cagnolini di Tiro e di Sidone, lo apre ad una dimensione universale: No, tu non sei venuto solo per quelli di Israele, tu sei pastore del dolore del mondo. Gesù cammina e cresce nella fede, imparando qualcosa su Dio e sull'uomo dall'amore e dall'intelligenza di una madre straniera. Da questo incontro di frontiera, da un dialogo fra stranieri prima brusco e poi rasserenante, emerge un sogno: la terra vista come un'unica grande casa, una tavola ricca di pane, una corona di figli. Una casa dove nessuno, neppure i cuccioli, ha più fame. Dove non ci sono noi e gli altri, uomini e no, ma solo figli e fame da saziare. Dove ognuno, come Gesù, impara da ognuno. Sogno che abita Dio e ogni cuore buono.
(Letture: Isaia 56, 1.6-7; Salmo 66; Romani 11, 13-15.29-32; Matteo 15, 21-28).
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