Insegnaci, Signore, cosa significa la gentilezza, questa maniera affettuosa di condurre la realtà e le relazioni. Insegnaci a non fare del risentimento, della diffidenza o dell’indifferenza il movente della vita, ma invece ad attivare una concreta capacità di empatia con i nostri simili, tanto nelle cose grandi come in quelle che ci sembrano meri dettagli. Insegnaci a metterci al posto dell’altro, a chiedergli più volte come si sente, di cosa ha bisogno, qual è la sua ferita e il suo sogno, quale speranza sepolta o disfatta gli faccia ancora male, quale desiderio gli farebbe risollevare l’animo o accendere il sorriso. Insegnaci, Signore, a sentirci ogni giorno responsabili di quel sorriso. Insegnaci che amare non è sufficiente: occorre farlo con eleganza. Che dare tanto per dare non basta: bisogna farlo con delicatezza. Che rivendicare tutto come un diritto non è saggio: dobbiamo anzi imparare la pratica dell’arte della gratitudine. Insegnaci, Signore, quella purezza di cuore che ci permette di guardare all’altro senza pregiudizi, con autentica disponibilità ad ascoltare e capire.
Insegnaci, Dio gentile, a costruire presenze che non soffocano, conversazioni che non tengono occupati inutilmente, doni che non imprigionano, ma a mettere l’altro al centro, perché la vera gioia è servire.
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