É un grande ospedale a Sesto San Giovanni. Davanti, su un largo viale, le auto corrono verso la Tangenziale. Nell’ingresso i pazienti attendono che compaia sugli schermi il proprio numero: fanno una Tac, un’ecografia.
Al banco centrale invece si va, nel giorno fissato, a ritirare i referti. Un altro numero, poi l’impiegata allunga senza parole una busta chiusa. Questa coppia davanti a me, 80 anni forse, lui malfermo sulle gambe, ritira la sua busta e in silenzio va a cercarsi due sedie libere.
Si mettono gli occhiali, poi con delicatezza, ma anche con visibile premura, aprono. Un dischetto, e il foglio con l’esito. La lingua dei medici non è facilmente comprensibile: la signora corruga la fronte, cerca di capire. Il marito attende che lei traduca quelle espressioni astruse. La donna, ansiosa, scorre con gli occhi in basso, verso la diagnosi. Si ferma: ora ha incontrato una parola chiara. Chiude in fretta il foglio.
«Che dice?» chiede lui. «Dice che devi fare altri esami», risponde la moglie, evasiva. Poi mette la busta in borsa e aiuta il compagno ad alzarsi.
Adesso anche lei è più lenta. Si direbbe che pesa, la borsa con quella parola dentro. La donna prende per mano il marito, maternamente. Può accadere, un giorno, di diventare la madre del tuo uomo: di accompagnarlo come un bambino ai primi passi, verso dove non sai.
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