sabato 27 luglio 2019
Nelle ultime due settimane in tutto il mondo si sono rincorse le celebrazioni per il cinquantesimo anniversario dello sbarco sulla Luna. Mezzo secolo dal giorno in cui virtualmente ogni persona sul nostro Pianeta rimase con il naso all'insù, persa nella incredibile enormità di quel momento. Sottratta a due millenni di poesie, la superficie del nostro satellite recava allora l'impronta dell'uomo; e in quel giorno non sembrava contare più nulla se la corsa allo spazio non era altro che l'ennesimo terreno su cui si svolgeva il confronto senza fine tra Usa e Urss, in quel giorno sembrava contare solo l'impresa compiuta.
Eppure, a parte la contesa fra le due superpotenze, c'era dietro a quella impresa una serie quasi infinita di domande. Le sintetizzò in maniera memorabile Paolo VI: «Faremo bene a meditare sopra questo straordinario e strabiliante avvenimento; a meditare sul cosmo, che ci apre davanti il suo volto muto, misterioso. Su cos'è l'universo, donde, come, perché? [A meditare su] chi è l'uomo? Chi siamo noi, capaci di tanto? Faremo bene a meditare sul progresso. E qui è il pericolo. È vero che lo strumento moltiplica oltre ogni limite l'efficienza dell'uomo; ma questa efficienza è sempre a vantaggio dell'uomo? Lo fa più buono, più uomo? O non potrebbe lo strumento imprigionare l'uomo che lo produce e renderlo servo del sistema di vita che lo strumento impone al proprio padrone?».
Domande che a 50 anni di distanza sono sempre attuali, se ancora siamo qui a chiederci quanto della straordinaria tecnologia che l'uomo è capace di dispiegare vada a vantaggio di tutti. La risposta di Paolo VI a quella lunga serie di interrogativi era tanto semplice quanto disarmante: «Tutto dipende dal cuore dell'uomo!». Un cuore capace di scegliere e di reinventare la solidarietà e la condivisione. Oppure no. O non abbastanza.
«È stato incoraggiante, negli ultimi anni – disse Papa Benedetto XVI nel discorso tenuto alle autorità civili a Westminster nel 2010 – notare i segni positivi di una crescita della solidarietà verso i poveri che riguarda tutto il mondo. Ma per tradurre questa solidarietà in azione effettiva c'è bisogno di idee nuove, che migliorino le condizioni di vita in aree importanti quali la produzione del cibo, la pulizia dell'acqua, la creazione di posti di lavoro, la formazione, l'aiuto alle famiglie, specialmente dei migranti, e i servizi sanitari di base. Quando è in gioco la vita umana, il tempo si fa sempre breve: in verità, il mondo è stato testimone delle vaste risorse che i governi sono in grado di raccogliere per salvare istituzioni finanziarie ritenute "troppo grandi per fallire". Certamente lo sviluppo integrale dei popoli della terra non è meno importante: è un'impresa degna dell'attenzione del mondo, veramente "troppo grande per fallire"».
Eppure, da allora non molto è andato nel verso giusto per gli ultimi. Il cuore dell'uomo si è distratto, e l'obiettivo "fame zero" è sempre più lontano, e aumentano le guerre e i profughi. Non è stato un caso se domenica scorsa Francesco, ricordando la missione dell'Apollo 11, ha detto: «Possa il ricordo di quel grande passo per l'umanità accendere il desiderio di progredire insieme verso traguardi ancora maggiori: più dignità ai deboli, più giustizia tra i popoli, più futuro per la nostra casa comune». Tutto, ancora e sempre, è affidato al cuore dell'uomo.
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