Dove saranno ora i ragazzi del Beccaria, il carcere minorile milanese, nel quartiere degli Inganni, dal nome del vedutista bresciano Angelo, che conobbi ormai tanti anni fa quando li andai a trovare invitato dal loro professore? Forse perduti nelle contrade del mondo, a trafficare commerci illegali, oppure portati in salvo dal gorgo in cui stavano. Da quel tempo lontano, quando scesi a Bisceglie, alla fermata metropolitana della linea rossa, ne incontrai tanti altri, della loro stessa risma, da Casal del Marmo a Roma al Ferrante Aporti a Torino: una brigata selvaggia di adolescenti feriti e pericolosi, nati in contesti a rischio, carrozzoni di nomadi o famiglie spezzate, ma anche nella bambagia dell’ipocrisia borghese, cresciuti nei meandri delle jungle urbane, formati all’università del crimine, quali quasi sempre sono gli istituti di pena, destinati all’eterna ronda dei prigionieri immortalata da Van Gogh. Quelli ambrosiani restano nella mia mente come giovani paladini condannati in cerca della difficile redenzione: italiani, sudamericani, maghrebini, slavi. Tutti riuniti intorno a me, nello spazio in cattività dell’aula dietro le sbarre, impegnati a chiedermi la soluzione di un problema che da soli non riuscivano a risolvere. Quel giorno Milano mi sembrò il fossato dell’Europa.
© riproduzione riservata
© Riproduzione riservata
ARGOMENTI: