Sarà che non le so fare ma mi affascinano le barchette di carta. Mi sembra riassumano bene quel che siamo: eterni vagabondi, mendicanti d'infinito a rischio naufragio a ogni soffio di vento, marinai in fuga da una terra che conosciamo poco a un'altra che chissà se c'è e se ci vuole. La pandemia ci ha insegnato la fragilità e il senso di comunione: piccoli in mezzo alla tempesta ma almeno insieme. Unica linea di separazione, gli orizzonti, chi crede sa che arriverà un Maestro a fermare le onde, gli altri a sperare che non siano troppo alte e che esista un'isola da far diventare casa. In ogni modo il cantiere resta aperto: l'ingegnere più bravo è chi sa stendere gli angoli e unire bene i margini, così che non restino pieghe inutili. E noi li sopra a sospirare, i più fortunati con la bussola, tutti in mano un remo, e sai la fatica. Al mattino quando arrivo in ufficio e sono solo, per prima cosa guardo una barchetta di carta. È nell'intercapedine tra due scrivanie. Confine, frontiera fragile tra mondi diversi, come le persone, ma in fondo simili. Però a me piace pensarla un ponte a unire realtà e immaginazione. Che hanno una bisogno dell'altra. Senza realtà la fantasia è un'illusione, se ce n'è troppa i sogni trovano le strade bloccate e non sanno dove andare.
© Riproduzione riservata
ARGOMENTI: