La Banca mondiale mostra la lingua della globalizzazione
venerdì 27 marzo 2015
​Nell’ultimo almanacco filosofico di “MicroMega” (2/2015) compare in chiusura un saggio che (posso dire) aspettavo da tempo, perché cerca di descrivere con metodo una cosa che più o meno oscuramente occupa oggi la testa di nove decimi dell’umanità. Gli autori sono uno studioso di letteratura, Franco Moretti, e uno storico della scienza, Dominique Pestre. I due studiano con la necessaria, analitica diffidenza l’oggetto opprimente e onnipresente annunciato dal titolo: “La neolingua della Banca mondiale”. Sottotitolo (piuttosto ambizioso): “Analisi semantica e grammaticale dei rapporti della World Bank dal 1946 al 2012”. Quando si usa il termine “neolingua” vuol dire che politicamente e intellettualmente siamo nei guai. Orwell, nel suo 1984, spiegò che non si dà potere totalitario senza l’invenzione e la diffusione di una martellante, ubiqua neolingua creata per stravolgere lingua e senso comuni. Una tecnoburocrazia centralizzata lavora a ipnotizzare le masse di cittadini-sudditi diffondendo quotidianamente parole e frasi-feticcio, false verità, imperativi incomprensibili. Nel termine neolingua il prefisso “neo” allude alla novità, al rinnovamento, a una ulteriore e superiore fase della storia umana. Il titolo di questo saggio è dunque di per sé una denuncia. Nelle nostre società, vigono e spesso dominano ambiti culturali “totalitari” anche se la cornice istituzionale è liberal-democratica. La prima cosa che i due autori notano nella loro analisi è che dal 1958 al 2008 nei rapporti della Banca mondiale sparisce gradualmente ogni concreto riferimento a fatti e realtà fisiche. Viene elaborata «quasi un’altra lingua», lo stile «diventa sempre più codificato, autoreferenziale e lontano dalla lingua di tutti i giorni». Nel Bankspeak le tre parole chiave sono: finanza, management, governance. Il tema è enorme e allarmante. Invito Moretti, Pestre e chiunque voglia mettersi al lavoro a estendere l’analisi al gergo delle tecnologie comunicative, non dimenticando che oggi il veicolo della neolingua è l’inglese. Sembra proprio che fra globalizzazione e nuovi totalitarismi qualche parentela ci sia.
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