Vada (Livorno), estate 2000. Torrida giornata di luglio. Cielo blu smalto, non un filo di vento. Nell'ora più calda sto sistemando la casa. La finestra è spalancata. Il figlio di cinque anni giocherella con un piccolo dinosauro di plastica. Si affaccia alla finestra. Fuori, nella luce abbagliante del sole allo zenit, il tetto disegna sulla ghiaia un'ombra nera, netta. La voce di mio figlio: «Mamma, a cosa serve l'ombra?» Io, distrattamente: «Serve a dare un po' di fresco in una giornata come questa». Silenzio. Lui continua a guardare la linea nera, in cortile. «Però - replica - l'ombra c'è anche d'inverno. A cosa serve l'ombra, d'inverno?» In difficoltà, sto pensando a cosa rispondere quando il bambino si risponde da solo: «Forse, l'ombra serve perché siamo più contenti della luce». Io alzo la testa, disorientata. Poi: «Scusa, cosa hai detto?» Ma lui, già dimentico, di nuovo gioca con il suo dinosauro.Quel taglio nero sulla terra, come una non rimarginabile ferita. Che, davvero, l'ombra serva perché siamo più contenti della luce, e il male sia permesso perché infine desideriamo il bene, e il dolore, perché domandiamo la pace? Ma chi suggerisce certe cose ai bambini? Vorrei ricordarmene, da vecchia, l'ultimo giorno: l'ombra, è perché siamo più contenti della luce.
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