In treno, 2004 – In una mattina di aprile il rapido corre da Venezia a Milano. Avrei da leggere, da lavorare. Ma non so staccare gli occhi dai campi, oltre il finestrino. Quel verde chiaro delle prime foglie sugli alberi, pallide; e, quando la corsa rallenta, sulla massicciata, dalle più piccole fessure del cemento lo sporgersi dei fiori selvatici. E, la cascata di glicini dal pergolato di questa stazioncina di campagna? Chissà, qui fuori, che odore ha la terra, e come inebria, il profumo dei tigli. Chissà dove le api che danzano attorno, impazzite, ne porteranno i pollini.Davanti a me ho gli atti di un convegno. Per san Tommaso, leggo, la natura raggiunge il suo fine non per caso, ma intenzionalmente. Non per una propria intenzione però, ma per quella di un «ente conoscente», che le dirige verso un fine «come un arciere la freccia». La natura è dunque per Tommaso «arte divina insita nelle cose». La volontà di Dio stampata in ciò che vive, come un'orma. Penso agli uccelli che costruiscono il nido, quando è l'ora, e alla prodigiosa geometria degli stormi in volo; agli occhi fieri delle gatte che allattano, piccole tigri pronte a difendere la prole. Cosa vogliono gli animali, le piante, i fiori, se non vivere, e vivere ancora? Scagliati come una freccia, da un invisibile arciere.
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