L'invidia è indubbiamente una malattia, come la gelosia. L'unica medicina è probabilmente una dose sostanziosa di umorismo e autocritica. Dov'è la farmacia che la venda? E quand'è stata l'ultima volta che ho incontrato qualcuno capace di prendersi in giro?
Il libro di Benjamin dello scrittore finlandese di lingua svedese Bo Carpelan (ed. Iperborea), 77 anni, è una sorta di diario del protagonista che con lucidità e finezza medita sulla quotidianità, la vecchiaia, i figli, i ricordi, la politica, il tempo e così via. Ho scelto questa breve nota sull'invidia, una malattia dell'anima che si sposa con l'orgoglio e ha per sorella la gelosia e per figlia l'infelicità. Le due domande che lo scrittore ci pone centrano il bersaglio. Trovare un antidoto che ci vaccini da questo morbo è arduo perché nessuno produce per sé autocritica o autoironia. Imbattersi in una persona che sa criticare il proprio operato e scherzarci sopra è altrettanto difficile, se non impossibile.
E così l'invidia dilaga in livore, astio, malevolenza, cattiveria. Siamo tutti vittime e carnefici dell'invidia ed è per questo che mai abbastanza dovremmo essere vigili sulla nostra coscienza. Moravia in un suo racconto usava una bella immagine: «L'invidia è come una palla di gomma che più la spingi sotto e più ti torna a galla». Dobbiamo, perciò, essere realisti e non illuderci di essere immuni da
questo vizio. Puntiamo almeno a contenerlo con un po' più di rispetto e di oggettività. Come diceva ancora Carpelan, «non ponete l'ideale troppo in alto, ma sopra il pessimismo, di qualche centimetro». Solo così si comincerà ad ottenere qualche piccola vittoria.
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