Se pensiamo alle nostre giornate quotidiane, di solito frequentiamo meno di dieci lingue. I più fortunati ne conoscono cinque o sei, ma la media si ferma a meno di tre. Eppure nel mondo esistono quasi 7.000 lingue. 2.300 delle quali solo in Asia. Le più parlate, dicono le classifiche, sono cinese mandarino, inglese, hindi/urdu, spagnolo, russo, arabo, bengali, portoghese, indonesiano e giapponese. L’italiano si piazza al 19° posto ed è parlato da circa 70 milioni di persone. Da tempo, però, la tecnologia digitale ha fatto passi da gigante per aiutarci a comprendere le lingue che non conosciamo. Nonostante sia stato spesso accusato di fare traduzioni non perfette, per esempio, sono ormai 18 anni che abbiamo tutti a disposizione gratis Google Traslate. Ciò che non sappiamo è che supporta ben 614 lingue, 110 delle quali aggiunte pochi giorni fa. Un traguardo reso possibile dall’intelligenza artificiale e in particolare dal modello linguistico PaLM 2, «che consente a Google Translate di apprendere efficacemente lingue strettamente correlate». Tra queste ne figurano molte che magari non abbiamo mai sentito come l’Awadhi e il Marwadi (imparentate con l’Hindi) o creoli francesi come il creolo delle Seychelles e il creolo delle Mauritius. Tra le 110 nuove lingue ci sono anche Afar (parlata Eritrea, Gibuti ed Etiopia), Manx (la lingua celtica dell’Isola di Man), NKo (che riunisce diversi dialetti dell’Africa Occidentale), Punjabi Shahmukhi (la lingua più parlata in Pakistan) e Tamazight Amazigh (lingua berbera parlata in tutto il Nord Africa). Circa il 25% delle nuove lingue di Google Traduttore proviene proprio dall’Africa e comprende tra l’altro Fon, Kikongo, Luo, Ga, Swati, Venda e Wolof. Ciò che a me ha fatto particolarmente effetto è scoprire che con questo balzo in avanti il traduttore di Google serve ora oltre 614 milioni di persone, ma che si tratta solo di circa l’8% della popolazione mondiale.
Eppure già così abbiamo abbattuto una barriera importante. Tanto più che con l’intelligenza artificiale sono ormai decine i sistemi che offrono traduzioni in tempo reale in diverse lingue, permettendoci anche di realizzare video dove parliamo lingue a noi sconosciute con la nostro voce clonata dalle macchine. Fra poco, e manca davvero poco, avremo anche a disposizione telefoni cellulari in grado di tradurre in tempo reale le nostre conversazioni in diverse lingue. E così avverrà per le videochiamate e tutto il resto. Già oggi, per esempio, un popolare videogioco come Roblox ha sviluppato un modello di intelligenza artificiale che, secondo quanto dichiarato, «traduce le chat testuali così rapidamente che gli utenti potrebbero non accorgersi immediatamente che sta traducendo i messaggi di altri giocatori». Per non parlare degli oggetti indossabili, come gli occhiali o le cuffiette con l’intelligenza artificiale, che ci permettono di comprendere lingue che non conosciamo.
Tutto ciò, converrete, dà il capogiro perché ci porta davvero nel futuro. Eppure c’è una domanda che resta sul tavolo: calcolato che alla loro nascita i social dovevano connettere le migliori persone e i migliori pensieri del mondo e invece (per ammissione dei loro creatori) hanno fallito, riempiendosi di aggressività e populismi, il fatto di poterci presto comprendere tutti, ci farà fare davvero significativi passi avanti per migliorarci? Io spero proprio di sì. Perché ogni barriera linguistica che cade è un ponte che si crea. E questo non può che farci ben sperare. © riproduzione riservata
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